
Roma. Nella terza assemblea del Cammino sinodale la Chiesa italiana ha approvato il documento di sintesi “Lievito di pace e di speranza”, che introduce una delle aperture più significative degli ultimi decenni. Nel testo, votato oggi, si chiede che la Conferenza Episcopale Italiana sostenga con la preghiera e la riflessione le “Giornate” promosse dalla società civile contro la violenza di genere, l’omofobia e la transfobia, oltre che la pedofilia e il bullismo. È un passaggio che di fatto riconosce la necessità di una pastorale d’accompagnamento verso le persone omoaffettive e transgender, e rappresenta il punto più esplicito mai raggiunto dalla Chiesa italiana su questi temi. Il documento, pubblicato sul sito ufficiale del Cammino sinodale, non modifica la dottrina, ma apre a una nuova forma di prossimità, proponendo un linguaggio diverso e un atteggiamento più vicino alle persone ferite e discriminate.
Il testo parla di un impegno concreto a trasformare la distanza in dialogo e la condanna in ascolto, nel solco del pontificato di Papa Leone XIV, che da tempo incoraggia una visione più inclusiva della fede. “Accompagnare chi è ferito e discriminato” diventa così un mandato istituzionale, non più affidato alla sensibilità dei singoli parroci. Il Sinodo chiede alla Cei di farsi parte attiva nelle iniziative civili che promuovono rispetto e riconoscimento reciproco, includendo anche manifestazioni pubbliche come i Gay Pride, purché vissute nello spirito di testimonianza cristiana. È un cambio di paradigma che segna la fine di un’epoca in cui la Chiesa si limitava a osservare da lontano le dinamiche sociali, per tornare invece al centro del dibattito pubblico.
Le linee guida del documento
Il documento, consultabile integralmente sul portale della Conferenza Episcopale Italiana, va oltre le raccomandazioni di principio e individua strumenti pastorali per l’attuazione delle nuove sensibilità. Propone percorsi di formazione e educazione all’affettività per adolescenti e giovani, riconoscendo l’importanza dell’identità di genere come componente della crescita spirituale. Invita le diocesi a predisporre spazi di ascolto e discernimento per le famiglie con figli omoaffettivi o transgender, evitando ogni forma di esclusione. La Chiesa, in questa prospettiva, non abdica alla sua dottrina, ma la traduce in un linguaggio di accompagnamento che valorizza la persona più della norma. L’invito è a riscoprire la comunità come luogo in cui la diversità non è una minaccia ma una risorsa, e dove l’annuncio cristiano passa anche attraverso la testimonianza di accoglienza.
Il cambiamento proposto tocca la dimensione pastorale, educativa e comunicativa. Parlare di “inclusione” significa riformare il modo stesso in cui la Chiesa si racconta. Ogni parola diventa scelta teologica e atto politico insieme: non si tratta solo di aprire le porte, ma di restare aperti nel tempo. La decisione del Sinodo appare dunque come un primo passo, destinato a provocare reazioni differenti tra le diocesi. Alcune sceglieranno percorsi prudenti, altre sperimenteranno forme più dirette di partecipazione. È la prova di una Chiesa che vuole camminare unita, pur nella pluralità dei contesti.
Le sfide e le conseguenze
Resta da capire come questa svolta si tradurrà nella pratica. La Cei è chiamata a dare forma concreta a un principio che, per ora, resta affidato al discernimento locale. Alcuni vescovi temono che il documento possa essere interpretato come un cedimento ai valori secolari; altri lo leggono come il compimento naturale del Concilio Vaticano II, cioè l’apertura al mondo contemporaneo. Ma la vera novità è culturale: per la prima volta la Chiesa italiana assume la lotta alla discriminazione come parte integrante della missione pastorale. Non è un semplice gesto di dialogo, ma la consapevolezza che il silenzio, di fronte alla sofferenza, può essere corresponsabilità.
Sul piano sociale, l’impatto è già visibile. L’immagine di una Chiesa che cammina accanto alle persone Lgbtq+ riscrive la relazione fra religione e modernità, spostando l’accento dal giudizio alla compassione. È un passo che ridisegna i confini della comunità credente e che può aprire una stagione di confronto con istituzioni, scuole e associazioni civili. In un tempo segnato da polarizzazioni e scontri ideologici, la scelta del Sinodo segna la possibilità di un nuovo lessico della fede, in cui la verità non si impone ma si testimonia.


