
Donald Trump non è più l’uomo del disgelo, ma quello dell’ultimatum. A bordo dell’Air Force One, in volo come nei giorni di campagna elettorale, ha annunciato che “non perderà tempo” con Vladimir Putin finché non ci sarà “certezza di un accordo di pace”. È il linguaggio di un presidente che sente di avere il controllo del tavolo, non più l’esigenza di sedersi a negoziare. E in questa frase c’è la cifra della nuova diplomazia trumpiana: negoziare da vincitore, non da mediatore.
La Russia è di nuovo sotto pressione, non per via delle armi, ma per il soffocamento economico. Trump ha scelto la leva energetica per costringere Mosca a trattare: sanzioni su Lukoil e Rosneft, i due giganti del petrolio, proprio mentre la Cina — principale acquirente del greggio russo — comincia a ridurre gli acquisti. È un doppio colpo che ha un significato preciso: Washington e Pechino non sono ancora alleati, ma in questo momento stanno convergendo su un obiettivo tattico comune, contenere Putin.
La frase “non perderò tempo” non è solo una dichiarazione di disinteresse. È un messaggio di forza: Trump vuole mostrare che non rincorrerà il Cremlino, ma lo isolerà nel momento in cui la sua economia vacilla. È il ritorno al realismo di potenza, non più alla logica dei summit infiniti e delle strette di mano. In questa nuova fase, l’America detta le condizioni e chi vuole trattare deve prima dimostrare di avere perso.
Trump scommette che il tempo gioca contro Putin. Le sanzioni, il crollo del petrolio russo e la chiusura cinese rischiano di fare più male dei missili. Ma in questa scommessa c’è anche un rischio: che Mosca, sentendosi accerchiata, reagisca con la disperazione di chi non ha più nulla da perdere.
Se davvero ci sarà una pace, non nascerà dal dialogo, ma dal logoramento. E allora quella frase di Trump, pronunciata in volo, suona come una sentenza geopolitica: non è più il tempo dei negoziati, ma quello della resa dei conti.


