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Morgan rischia 9 mesi di carcere per aver insultato i poliziotti durante lo sfratto

Pubblicato: 27/10/2025 16:38

La vicenda giudiziaria che coinvolge Marco Castoldi, il cantautore noto al grande pubblico come Morgan, ex leader dei Bluvertigo e apprezzato giudice di X Factor, è giunta a un momento cruciale. L’artista, che nel 2019 fu al centro di un controverso sfratto dal suo appartamento milanese di via Adamello, si trova ora a fronteggiare una richiesta di condanna a nove mesi di reclusione per l’accusa di oltraggio a pubblico ufficiale. La richiesta è stata avanzata dalla pubblica accusa nella mattinata di lunedì 27 ottobre, con la sentenza definitiva del giudice Valentina Schivo attesa per il mese di novembre.

La difesa di Castoldi, curata dall’avvocato Roberto Iannaccone, mantiene ferma la posizione dell’innocenza, ma i fatti contestati e le dichiarazioni rese in aula dal cantautore offrono uno spaccato complesso e, a suo dire, profondamente doloroso della vicenda. Quello sfratto, disposto a seguito di un pignoramento per debiti, si trasformò in un evento mediatico, con telecamere, ammiratori presenti e un grande clamore che, nello stile inconfondibile di Morgan, amplificò il dramma personale in una sorta di piccolo show.

I termini dell’accusa e le espressioni contestate

Il fulcro dell’accusa si concentra sulle espressioni verbali che Morgan avrebbe rivolto ai membri delle forze dell’ordine e ad altri ufficiali presenti durante l’esecuzione dello sgombero. Secondo quanto riportato e contestato in sede processuale, l’artista avrebbe utilizzato termini fortemente denigratori e offensivi per apostrofare le persone coinvolte nell’atto esecutivo. Tra le parole contestate spiccano appellativi come “mostri” e “ignoranti“, affiancati da definizioni che li avrebbero resi “ridicoli“. In un crescendo verbale di sdegno e frustrazione, Morgan avrebbe anche paragonato gli ufficiali presenti a dei “boia” o a dei “becchini“.

Tali esternazioni, per la pubblica accusa, costituiscono un chiaro e inequivocabile oltraggio alla funzione e al decoro dei pubblici ufficiali che stavano semplicemente eseguendo il loro dovere, in ottemperanza a un provvedimento legale. La gravità delle parole e il contesto in cui sono state pronunciate hanno portato alla richiesta di una pena detentiva, pur se contenuta, a dimostrazione della serietà con cui l’ordinamento giudiziario tratta le offese alle forze dell’ordine e ai servitori dello Stato.

La versione di Morgan: sofferenza e disconoscimento

Durante il processo, Morgan ha avuto modo di fornire la sua versione dei fatti, cercando di spiegare il contesto psicologico ed emotivo in cui si trovava in quel difficile momento. La sua testimonianza ha dipinto un quadro di profonda sofferenza, non solo per la perdita della casa, ma per la cessazione di quello che era anche il suo luogo di lavoro. L’appartamento di via Adamello, infatti, ospitava anche il suo studio di registrazione e tutti i suoi strumenti musicali, rendendo lo sfratto un trauma che colpiva non solo la sua sfera privata ma anche la sua essenza professionale e artistica.

Morgan ha sostenuto di trovarsi in uno stato di grande sofferenza psicologica, il che avrebbe influenzato la sua reazione. Un punto cruciale della sua difesa riguarda la mancata identificazione di alcuni soggetti come appartenenti alle forze dell’ordine. L’artista ha dichiarato che quelle persone non si erano qualificate come tali e che non erano in divisa, circostanza che avrebbe potuto generare confusione o errate interpretazioni del loro ruolo. A ciò si aggiunge il dettaglio che uno di loro lo stesse riprendendo con una telecamera, elemento che ha contribuito al senso di smarrimento e di non accettazione della dinamica dei fatti.

La distinzione degli insulti e l’intenzione dichiarata

Per quanto riguarda i termini più accesi, Morgan ha cercato di fare una distinzione netta sulle intenzioni dietro le sue parole. L’appellativo “mostro“, ad esempio, non sarebbe stato rivolto alle forze dell’ordine, bensì, stando alla sua ricostruzione, all’acquirente dell’appartamento, la persona che, in ultima analisi, avrebbe beneficiato dello sgombero forzato. Per quanto concerne i termini “boia” e “becchino“, l’artista ha ammesso di averli usati, ma in un dialogo diretto con l’ufficiale giudiziario. Riconoscendo che l’ufficiale stava semplicemente “facendo il suo lavoro”, Morgan avrebbe utilizzato quei paragoni per esprimere il carattere crudo e terminale dell’azione in corso, descrivendo l’ufficiale non tanto come persona oltraggiata, ma come esecutore di un atto finale e devastante.

Ha tenuto a precisare, inoltre, di avere un profondo rispetto per la polizia, tentando in questo modo di smarcare la sua reazione emotiva e le sue parole più dure da un’intenzione deliberata di disprezzare l’autorità in sé. La sentenza, che arriverà nel mese di novembre, dovrà valutare se queste spiegazioni e distinzioni saranno sufficienti a scagionare il cantautore dall’accusa di oltraggio a pubblico ufficiale o se, al contrario, la gravità delle espressioni utilizzate in un contesto ufficiale e di fronte a pubblici ufficiali giustificherà la condanna richiesta. Il caso rimane un esempio emblematico di come il dramma personale, soprattutto se vissuto da personaggi pubblici, possa sfociare in conseguenze legali, trasformando una sventura finanziaria in una battaglia giudiziaria dai contorni emotivi e mediatici rilevanti.

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