
Aveva solo otto anni Piero Pelù quando, con le sue prime “paghette”, riuscì a comprarsi la sua prima chitarra. Una Eco Eldorado che oggi conserva ancora, o almeno ciò che ne resta: “Di quella chitarra m’è rimasto solo il manico, ma lo tengo gelosamente”, racconta. Da quel momento la musica è diventata la sua vita, il suo rifugio e la sua battaglia quotidiana. Ma per il frontman dei Litfiba, la musica è stata anche fonte di dolore. Un dolore reale, fisico, scandito da un fischio incessante che da anni non gli dà tregua: “Un fischio che mi tormenta ogni minuto e ogni fottuta notte fino all’alba”, ha confidato al settimanale Sette del Corriere della Sera.
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Il trauma acustico e la scoperta dell’acufene
Tutto ha avuto origine da un errore tecnico, un episodio apparentemente banale ma dalle conseguenze devastanti. Nell’ottobre del 2022, durante una sessione di registrazione, un problema alle cuffie — come lui stesso racconta — gli ha provocato un trauma acustico così forte da farlo svenire sul posto. Da quel momento, Piero Pelù ha dovuto convivere con una forma incurabile di acufene, un disturbo che ha stravolto la sua quotidianità e la sua carriera.
“Purtroppo la ricerca su questo male è ferma e, condividendo la mia storia sui social, mi sono reso conto che ne soffrono in tantissimi”, ha spiegato. Quel suono costante, come una lama nelle orecchie, lo ha costretto a rimandare due tournée, a fare i conti con la depressione e con un corpo che non rispondeva più come prima. “Un fonico incapace mi ha fatto esplodere una bomba nelle orecchie, in cuffia. Per fortuna, anziché la sordità, ho un’ipersensibilità a certe frequenze”, ha raccontato.

Col tempo, però, Pelù ha imparato a trovare un equilibrio, a “inventarsi un sistema per continuare a cantare”. Oggi, quando è in mezzo alla gente, è costretto a indossare tappi per le orecchie, soprattutto in ambienti rumorosi: “Se ci sono rumori di piatti o voci acute, mi feriscono. Ma non voglio smettere di vivere”.
La rinascita con musica e cinema
Nonostante tutto, Piero Pelù non si è mai arreso. Dopo mesi difficili, ha trovato nella musica la sua terapia e nel 2024 è tornato con forza sulle scene. Ha pubblicato l’album Deserti, un progetto nato dalla sua esperienza di dolore e resistenza, e in primavera ha portato in tutta Italia il tour Il Ritorno del Diablo, simbolo della sua rinascita artistica. Nello stesso anno ha anche scritto Sos, un brano dedicato alla Palestina, e ha presentato alla Mostra del Cinema di Venezia il suo film-documentario Rumore dentro, un viaggio intimo nella memoria e nella forza creativa.
“Con Rumore dentro ho riscoperto ciò che ho fatto di bello. Ho riaperto un enorme baule di ricordi, un archivio sconfinato di filmini in Super 8, passione ereditata da mio padre e da mio nonno”, ha raccontato. Quelle pellicole, gelosamente conservate e restaurate con cura, gli hanno restituito emozioni dimenticate e momenti di pura nostalgia. “Mi hanno regalato sorprese meravigliose”, aggiunge con un sorriso.
La famiglia, le radici e il tempo che passa
Nel suo baule dei ricordi, Pelù ha ritrovato anche un video speciale: “Un filmato con i miei genitori, girato una sera che avevano probabilmente bevuto un vinaccio. Mio padre ha la lingua nera, e avevano la stessa età che ho io ora”. I suoi genitori, racconta, hanno vissuto la guerra, la paura dei rifugi antiaerei e poi la serenità di una vita borghese: “Mia madre soffre ancora di claustrofobia, ma sono due highlander. Mio padre ha 98 anni, l’Alzheimer lo sta divorando, ma ha sprazzi di lucidità fantastici. L’altro giorno mi ha visto e ha detto: ‘Oh, il diavolo gigante!’”.
Essere un figlio ribelle, però, non è stato facile: “Avere un figlio rockettaro non è stato il massimo per loro. Mia madre, soprattutto, ha sempre avuto il rigetto del figlio ribelle che ero”. Quel conflitto familiare, però, si è trasformato in un motore creativo, in una spinta a costruire la propria identità artistica e personale, sempre in bilico tra trasgressione e introspezione.

Viaggi, equilibrio e nuove prospettive
Da bambino, Pelù seguiva suo padre in giro per l’Italia per motivi di lavoro, cambiando spesso scuole e amici. “Ho imparato ad adattarmi, ed è stata una palestra fantastica”, ricorda. Oggi quell’esperienza lo ha reso capace di muoversi con naturalezza in contesti diversi, “dalla festa gitana agli incontri con grandi stilisti”. Viaggiare, per lui, è ancora una fonte di ispirazione: “Ti estranei dalla quotidianità e vai di fantasia. Lo faccio anche guidando, è una forma di meditazione. Quando mi girano le scatole, nulla di meglio che prendere un camper e sparire per una settimana”.
Oggi, a 63 anni e mezzo, Piero Pelù dice di aver finalmente trovato un equilibrio tra corpo e spirito, tra libertà e disciplina: “Dopo eccessi e privazioni sono contento: ho trovato un buon equilibrio tra la ricerca della libidine e la salute. Le giuste dosi di alcol, cibo e tutto il resto”.
Nel suo rumore dentro, fatto di note, silenzi e dolore, c’è la storia di un artista che non ha mai smesso di cercare sé stesso. Un uomo che, anche nel momento più buio, ha saputo trasformare la sofferenza in arte e la fragilità in forza.


