
L’onda ultraliberista di Javier Milei conquista anche le elezioni di medio termine. Il presidente argentino ha ottenuto una vittoria netta, inattesa nei numeri ma non nello spirito del Paese, portando la sua coalizione La Libertad Avanza al 40,84% delle preferenze contro il 24,5% della peronista Fuerza Patria. Un risultato che consolida il suo potere politico dopo quasi due anni di governo e apre una nuova fase di stabilità istituzionale, finora garantita solo dai decreti presidenziali.
La giornata elettorale, segnata da alta tensione durante la campagna e da episodi di violenza, si è svolta senza incidenti. L’affluenza è stata vicina al 68%, con voto obbligatorio, e ha confermato un clima di mobilitazione popolare. La prima a parlare dopo la chiusura dei seggi è stata Karina Milei, sorella del presidente e figura centrale del governo, che ha ringraziato gli elettori sottolineando “la serenità e la maturità democratica” del voto.
Trump esulta e il dollaro resta sotto osservazione
Dagli Stati Uniti è arrivato immediato il commento del presidente Donald Trump, che ha definito Milei “un leader coraggioso che sta facendo un lavoro meraviglioso” e ha parlato di “una vittoria schiacciante che conferma la fiducia del popolo argentino”. Un messaggio che non è solo politico: nei giorni scorsi Washington aveva vincolato un prestito da 20 miliardi di dollari ai risultati del voto, in un momento cruciale per la tenuta economica del peso argentino.
Il ministro dell’Economia Luis Caputo ha assicurato che “non ci saranno cambiamenti” e che l’agenda economica rimane invariata. Ma dietro la calma ufficiale si nasconde una situazione delicata: il governo ha già chiesto due prestiti da 20 miliardi ciascuno, uno al Fondo Monetario Internazionale e uno a Trump, mentre la moneta nazionale continua a perdere valore e la disoccupazione cresce.
L’Argentina fra austerità e consenso
Per la politologa Valeria Brusco, docente all’Universidad Nacional de Córdoba, “questa vittoria consente a Milei di governare con più forza, ma non elimina le contraddizioni interne del suo progetto”. Il presidente “anarchico-capitalista”, che aveva promesso di “spazzare via la casta”, ha in parte mantenuto le sue promesse: ha ridotto l’inflazione e attratto investimenti, ma al prezzo di tagli feroci alla spesa pubblica e di una crescente polarizzazione sociale.
Dal fronte peronista, la sconfitta è stata accolta con amarezza. L’avvocato e dirigente sociale Juan Grabois ha commentato che “è stata una battaglia impari, perché il vero capo della campagna di Milei è stato Trump”. Ma il voto argentino, più che un plebiscito sul governo, sembra essere una scommessa collettiva su un nuovo modello economico, fondato su privatizzazioni, liberalizzazioni e una visione di mercato spinta fino all’estremo.
L’Argentina, oggi, resta un laboratorio di democrazia radicale e rischio finanziario, dove ogni scelta politica è anche una scommessa sul futuro del Paese. Milei esce rafforzato, ma la sua rivoluzione ultraliberista entra ora nella fase più difficile: dimostrare di poter durare.


