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“Nata uomo!”. Brigitte Macron esplode, la reazione durissima: cos’ha deciso

Pubblicato: 27/10/2025 13:45
Brigitte Macron uomo nata

Dieci persone, tra cui un professore, un pubblicitario, un informatico e una sedicente medium, compaiono oggi e domani davanti al tribunale di Parigi con l’accusa di cyberbullismo sessista ai danni di Brigitte Macron, moglie del presidente francese Emmanuel Macron. Il processo nasce da una denuncia per diffamazione presentata dalla coppia presidenziale, dopo anni di campagne complottiste che hanno diffuso la falsa voce secondo cui la première dame sarebbe in realtà un uomo.
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L’origine della teoria e il ruolo dei social

Secondo l’accusa, gli imputati sono ritenuti responsabili di aver diffuso e rilanciato sui social network una diceria che, nata ai margini dell’estrema destra francese, ha trovato terreno fertile nell’ambiente del complottismo internazionale. La teoria, nata nel 2017 — anno dell’elezione di Macron all’Eliseo —, sfruttava il pregiudizio legato alla differenza di età di 24 anni tra i due coniugi, insinuando illazioni sulla presunta “identità di genere” della first lady.

A favorire l’esplosione del caso fu la podcaster statunitense Candace Owens, vicina al movimento MAGA e nota per posizioni antisemite e complottiste. Owens, seguita da milioni di utenti online, pubblicò una serie di video dal titolo “Becoming Brigitte”, accompagnati da una falsa copertina del Time in cui la première dame veniva ironicamente definita “uomo dell’anno”. Questi contenuti furono poi rilanciati da numerosi utenti, amplificando la disinformazione e trasformandola in una campagna virale di odio sessista.

Gli imputati e le accuse

Gli imputati, otto uomini e due donne di età compresa tra i 41 e i 60 anni, sono accusati di aver condiviso, commentato o sostenuto pubblicamente i contenuti diffamatori, contribuendo così a un’ondata di messaggi offensivi e discriminatori. Tra di loro figurano il pubblicitario Aurélien Poirson-Atlan, conosciuto online con lo pseudonimo “Zoé Sagan”, e la medium Delphine J., in arte Amandine Roy, 51 anni, autoproclamatasi “giornalista” e “informatrice”.

Roy sarebbe stata tra le prime a diffondere l’ipotesi, totalmente infondata, secondo cui Brigitte Macron, nata Trogneux, sarebbe in realtà suo fratello Jean-Michel Trogneux dopo un presunto cambio di sesso. Secondo la Procura di Parigi, tra le affermazioni più gravi vi sono anche quelle che collegano la differenza d’età tra i coniugi Macron a un presunto comportamento “pedofilo”, un’accusa definita “infamante e sessista” dagli avvocati della parte civile.

Le difese e il valore simbolico del processo

L’avvocata di Roy, Maud Marian, ha dichiarato che la propria assistita “si è limitata a riportare una notizia circolata online” e che “nessun messaggio è stato indirizzato direttamente alla signora Macron”. La medium era già stata condannata per diffamazione nel 2024, ma assolta in appello lo scorso luglio; la famiglia Trogneux ha tuttavia presentato ricorso alla Corte di Cassazione francese, mantenendo aperta la vicenda giudiziaria.

Il processo che si apre oggi a Parigi rappresenta un precedente significativo nella lotta alla disinformazione digitale e alla violenza sessista online. È infatti uno dei primi casi in cui la giustizia francese affronta direttamente la responsabilità di chi diffonde fake news e teorie complottiste a sfondo misogino nei confronti di una figura pubblica.

Donne nel mirino del complottismo

Brigitte Macron non è la sola donna della scena politica a essere stata vittima di campagne d’odio simili. Negli ultimi anni, personalità come Michelle Obama, Jacinda Ardern e Kamala Harris sono state oggetto di teorie analoghe, che ne mettevano in discussione l’identità o la femminilità per screditarne il ruolo pubblico. Un fenomeno che, come sottolineano gli esperti, unisce misoginia, sessismo e disinformazione in un meccanismo che colpisce soprattutto le donne in posizioni di potere.

Un banco di prova per la giustizia francese

Il procedimento giudiziario contro i dieci imputati assume dunque un valore che va oltre il singolo caso. Per la Francia, rappresenta un test sulla capacità del sistema giudiziario di tutelare l’onore e la dignità delle donne anche nello spazio digitale, dove la diffamazione online si diffonde con estrema rapidità e difficoltà di controllo.

Mentre l’aula del tribunale di Parigi si prepara a due giornate di udienze, l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica resta alta. Per molti, il processo a tutela di Brigitte Macron è un segnale forte: la rete non può essere un luogo di impunità, e la libertà di espressione non deve trasformarsi in libertà di diffamare.

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