
Un’aula scolastica, luogo in cui i bambini dovrebbero sentirsi protetti e liberi di imparare, si è trasformata in teatro di un presunto caso di maltrattamenti che ha scosso famiglie e insegnanti. Una maestra è finita davanti al giudice con accuse pesanti legate ai metodi adottati nei confronti di un suo alunno, un bambino di appena sei anni. Il caso, esploso dopo mesi di segnalazioni e testimonianze, ha riacceso il dibattito sul confine tra disciplina e abuso, su quanto l’autorità educativa possa spingersi oltre per gestire un alunno “difficile”.
Secondo l’accusa, l’insegnante avrebbe messo in atto comportamenti umilianti e coercitivi, causando nel piccolo gravi ripercussioni emotive. La vicenda ha suscitato forte indignazione non solo tra i genitori della scuola, ma anche tra i colleghi e le associazioni di categoria, che chiedono chiarezza e rispetto per la dignità dei minori.
Il caso alla scuola “Pietro Pallavicini” di Roma
La vicenda risale al periodo compreso tra settembre 2019 e febbraio 2021 e riguarda E. B., insegnante della scuola elementare “Pietro Pallavicini” di Roma, ora imputata con l’accusa di maltrattamenti su un minore. Secondo quanto riportato nel capo d’imputazione, la maestra avrebbe legato un suo alunno alla sedia con un laccio di stoffa per impedirgli di muoversi e, in un’altra occasione, gli avrebbe appeso una borsa al collo per costringerlo a tenere la testa abbassata sul quaderno.
Gli episodi descritti avrebbero generato nel bambino una forte ansia, tanto da provocare insonnia e disagio psicologico, spingendo i genitori a rivolgersi a una specialista. In un altro episodio, nel febbraio 2021, la donna avrebbe trascinato il piccolo fuori da scuola mentre lui piangeva, lamentandosi pubblicamente del suo comportamento.
La difesa dell’insegnante
Davanti al giudice, la maestra ha negato con forza ogni accusa, sostenendo di aver sempre avuto un rapporto affettuoso e rispettoso con l’alunno. «Ho conosciuto il bambino in prima elementare: era sveglio, intelligente, molto vivace», ha dichiarato in aula. «Con lui ho sempre mantenuto un atteggiamento dolce. È solo un bambino dinamico, incapace di stare fermo, con la voglia di fare il protagonista».
La docente ha spiegato che, secondo lei, ogni suo gesto è stato mal interpretato e che il suo intento era semplicemente quello di mantenere la concentrazione in classe. «Quando si lavora con bambini di sei anni – ha aggiunto – bisogna gestire energie enormi, e lo si fa sempre con pazienza e dolcezza».
Un processo che divide
Il procedimento giudiziario, ancora in corso, sta spaccando l’opinione pubblica tra chi difende la professionalità dell’insegnante e chi ritiene inaccettabili certi metodi educativi. Intanto, la famiglia del bambino continua a chiedere giustizia per le presunte sofferenze inflitte al piccolo, mentre la scuola ha preso le distanze, ribadendo il proprio impegno per la tutela e la sicurezza degli alunni.


