
Per la prima volta nella storia della missione, i caschi blu dell’Onu hanno abbattuto un drone israeliano nel sud del Libano, al confine con lo Stato ebraico. È accaduto ieri sera nella zona di Kafr Kila, in un’area già teatro di scontri e incidenti tra i militari dell’Unifil e le forze israeliane. Il velivolo, secondo la ricostruzione delle Nazioni Unite, volava in maniera “aggressiva” sopra una pattuglia di peacekeeper, costringendoli a intervenire. L’episodio è di portata eccezionale: mai, dal 2006 a oggi, le truppe Onu avevano aperto il fuoco contro un mezzo israeliano. Il comando della missione — attualmente affidato all’Italia — parla di un’azione “difensiva e necessaria”, mentre da parte israeliana si parla di “errore di valutazione” e si nega qualsiasi minaccia ai soldati internazionali.
Il drone è stato distrutto in volo, ma pochi minuti dopo un secondo ricognitore avrebbe sorvolato la stessa zona, sganciando una granata nei pressi delle postazioni Onu. In quel momento, secondo fonti di Unifil, anche un carro armato israeliano avrebbe sparato contro la linea di osservazione dei caschi blu, senza provocare vittime. L’esercito israeliano, invece, nega categoricamente di aver aperto il fuoco contro i peacekeeper, sostenendo che l’operazione aveva come unico obiettivo i miliziani di Hezbollah presenti nel settore.
Le versioni opposte e la risposta diplomatica
La dinamica dell’incidente è ora al centro di un confronto diretto tra Onu e Israele, con i canali di comunicazione militari già riattivati per chiarire la sequenza degli eventi. L’Unifil parla di “contromisure difensive adottate in conformità con il mandato”, mentre il portavoce delle forze israeliane ha definito l’abbattimento “un atto ingiustificato e pericoloso”. Si tratta del culmine di settimane di frizioni crescenti: in due occasioni precedenti, sempre nella stessa area, droni israeliani avevano lanciato granate contro postazioni Onu, ferendo lievemente un militare. Anche in quei casi Tel Aviv aveva respinto ogni accusa, affermando che l’azione era rivolta solo contro i sostenitori del movimento sciita filo-iraniano.
Sul piano politico, l’episodio rischia di aggravare i rapporti già delicati tra la missione Unifil e Tel Aviv. Il contingente internazionale, composto da circa 1200 militari italiani sotto il comando del generale Diodato Abagnara, opera lungo la cosiddetta Linea Blu con il mandato di vigilare sulla cessazione delle ostilità e sul rispetto della risoluzione Onu 1701, emanata dopo la guerra del 2006.
Il ruolo italiano e la crisi lungo la Linea Blu
L’Italia, che guida la missione con una forte presenza logistica e diplomatica, si trova ora a gestire un equilibrio fragile tra Israele e Hezbollah, con le due parti sempre più inclini a scontri diretti. Da settimane, le forze israeliane conducono operazioni mirate nel sud del Libano contro le cellule armate del movimento sciita, mentre la missione Onu denuncia una serie di violazioni territoriali e raid a ridosso del confine.
Durante l’offensiva di ottobre, l’esercito israeliano era penetrato per alcuni chilometri oltre la linea di demarcazione, generando numerosi episodi di fuoco incrociato con i caschi blu. L’abbattimento del drone segna adesso un passaggio delicato, quasi un punto di non ritorno, che trasforma la missione di pace in un potenziale soggetto di attrito. Per la comunità internazionale, e per l’Italia in particolare, la sfida è mantenere la neutralità della presenza Onu senza rinunciare alla sicurezza del contingente. Un compito che, alla luce di questo incidente, appare ogni giorno più complesso.


