
A poche ore dalle elezioni anticipate nei Paesi Bassi, regna la più totale incertezza politica. Il voto, in programma per mercoledì 29 ottobre, potrebbe confermare la destra radicale del Partito per la Libertà (PVV) come prima forza del Paese. Il partito anti-migranti ed euroscettico guidato da Geert Wilders è infatti in testa ai sondaggi, nonostante il crollo del precedente governo di Dick Schoof, travolto da tensioni interne dopo meno di un anno di vita.
Secondo le ultime rilevazioni, il PVV dovrebbe ottenere tra il 17,6% e il 20% dei consensi, mantenendo la leadership nella Tweede Kamer, la Camera bassa del Parlamento olandese. Si tratterebbe tuttavia di un arretramento rispetto al 23,5% conquistato alle elezioni anticipate del novembre 2023, quando l’ultradestra aveva ottenuto 37 seggi su 150. Stavolta, i pronostici indicano una rappresentanza ridotta a 26-29 deputati.

Alla rincorsa di Wilders c’è l’alleanza progressista tra socialdemocratici e ambientalisti, guidata dall’ex commissario europeo Frans Timmermans sotto le insegne di Sinistra Verde–Partito Laburista (GL-PVDA). I sondaggi assegnano alla coalizione un risultato compreso tra il 15% e il 16%, in linea con le precedenti consultazioni. L’appello di Timmermans per costruire in Olanda un “campo largo” simile a quello italiano sembra però essere caduto nel vuoto.
Sul fronte moderato, si contendono il terzo posto il Cristiano-Democratico Appello (CDA) di Henri Bontenbal, stimato tra il 13% e il 16%, e il partito liberal-progressista D66 guidato da Rob Jetten, accreditato di un 11-13%. Poco più indietro il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (VVD) di Dilan Yeşilgöz-Zegerius, che non dovrebbe superare il 10% dei voti.
Il duello liberale tra D66 e VVD, entrambi appartenenti alla famiglia europea Renew, sembra pendere a favore dei liberal-progressisti. Il partito di Jetten cresce di circa sei punti percentuali negli ultimi mesi, mentre il VVD, orfano dell’ex premier Mark Rutte – oggi Segretario generale della Nato – sembra pagare il prezzo politico dell’alleanza con Wilders dopo le ultime elezioni.

Sotto la soglia della doppia cifra si colloca una costellazione di partiti minori che, grazie al sistema proporzionale puro, riusciranno comunque a entrare in Parlamento. In Olanda si vota infatti in un’unica circoscrizione nazionale, con sbarramento allo 0,67%, una formula che accentua la frammentazione politica e rende molto complessa la formazione di una maggioranza stabile.
Tra le formazioni minori spiccano i nazional-conservatori di JA21 (circa 8%), il Forum per la Democrazia (FVD) di estrema destra (3,5%), il Partito Socialista (SP) e gli animalisti del PVDD (3%), il Movimento civico-contadino (BBB) e il Partito politico riformato (SGP) (2,5%). Nei pressi del 2% si collocano Denk, l’Unione cristiana (CU) e Volt, mentre il Nuovo Contratto Sociale (NSC) appare vicino alla scomparsa.
Con una tale dispersione di voti, appare inevitabile che il futuro governo sarà frutto di una coalizione a tre o quattro partiti, come quella uscente formata da PVV, VVD, BBB e NSC. L’esperienza del premier Dick Schoof, segnata da tensioni e dimissioni, è un monito sulla difficoltà di governare in un Parlamento estremamente frammentato.
Tutte le principali forze politiche hanno già escluso alleanze con il PVV di Wilders, ma questa presa di posizione rischia di complicare ulteriormente la formazione dell’esecutivo. Le terze elezioni in quattro anni, e le seconde anticipate consecutive, riflettono la cronica instabilità di un Paese finora considerato un modello di equilibrio e pragmatismo.
Gli analisti ritengono che una parte significativa dell’elettorato olandese desideri un ritorno a politiche più moderate, dopo l’ascesa dell’estrema destra xenofoba. Tuttavia, la radicalizzazione del dibattito sull’immigrazione e sull’identità nazionale mostra come l’influenza di Wilders e del suo PVV continui a pesare sull’intera scena politica, anche in assenza di un suo diretto coinvolgimento nel governo.


