
“Aspettiamo domani le dichiarazioni di voto e la conclusione. Avevo già dato risposte preventive in varie interviste, visto che le osservazioni di oggi sono state la solita litania petulante”. Con queste parole, pronunciate lasciando il Senato, Carlo Nordio ha dato il colpo di grazia a un confronto già avvelenato. La definizione – “litania petulante” – è diventata in poche ore il simbolo del clima di guerra aperta sulla riforma della giustizia, un provvedimento che spacca la politica, la magistratura e lo stesso equilibrio istituzionale del Paese.
Il ministro non ha replicato in Aula, ma la sua frase è bastata a incendiare l’opposizione e a inasprire la frattura con le toghe. La sinistra accusa il governo di voler sottomettere i pm al potere politico; la maggioranza, al contrario, parla di una rivoluzione di libertà e responsabilità. Nessuno media più, nessuno ascolta più. Tutto ruota attorno a un sospetto: che la separazione delle carriere nasconda un disegno di controllo.

Le reazioni e la spaccatura
Il ministro non arretra. Da settimane ripete che la riforma “non tocca l’indipendenza della magistratura”, che “è prassi in tutti i sistemi democratici”, e che chi la ostacola “lo fa per abitudine, non per ragione”. Ma le sue parole trovano davanti un muro. L’Anm parla di “arroganza istituzionale” e prepara nuove forme di mobilitazione. Il presidente Giuseppe Santalucia accusa Nordio di “disprezzo per il dialogo democratico”, mentre i sindacati dei magistrati denunciano “un attacco senza precedenti all’autonomia della giustizia”.
Dal Pd alla Sinistra Italiana, il coro è unanime: la riforma “smonta l’architettura costituzionale” e non affronta i veri problemi dei tribunali. Persino i centristi di Italia Viva parlano di “testo blindato” e si preparano ad astenersi. In mezzo resta la premier, costretta a difendere l’uomo simbolo della linea liberale del governo ma anche a contenere una tensione crescente con i giudici, che promettono “una battaglia senza precedenti”.
Il nodo politico
La frase di Nordio, dunque, non è solo uno sfogo. È la fotografia di un ministro che ha scelto il muro contro muro, deciso a chiudere la stagione delle ambiguità. Per lui le obiezioni delle toghe sono “un riflesso corporativo”, e chi parla di rischio autoritario “non ha letto il testo”. Per l’opposizione, invece, la riforma della giustizia segna “un passo indietro di trent’anni”. Lo scontro si consuma tra due visioni opposte dello Stato: da un lato l’idea di una magistratura autonoma, dall’altro la richiesta di renderla responsabile e separata.
Domani il voto in Senato chiuderà formalmente il dibattito, ma nessuno si illude che sia finita. Le parole di Nordio — quella “litania petulante” diventata hashtag, titolo, insulto e bandiera — hanno già scavato un solco profondo tra politica e giustizia. E, come sempre accade in Italia, da una riforma promessa nasce un conflitto che nessuno sembra più in grado di governare.


