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Addio a James Senese, voce e sax di Napoli

Pubblicato: 29/10/2025 08:24

Aveva ottant’anni e un’anima che non si era mai piegata. James Senese è morto a Napoli, la sua città, lasciando un vuoto che non si misura con le parole. Era malato da tempo, segnato da una lunga battaglia con la dialisi e da una grave infezione polmonare che lo aveva costretto al ricovero nelle ultime settimane. Se n’è andato come aveva vissuto: con dignità e orgoglio, senza mai cedere all’autocommiserazione. La sua musica resta come una lingua a sé, ruvida e dolce, radicata nel Sud e aperta al mondo.

Cresciuto nei vicoli di Miano, figlio di un soldato afroamericano e di una donna napoletana, James Senese portava nel sangue il senso profondo dell’appartenenza e dell’esclusione. Era “nero e napoletano”, come amava dire, e di quella doppia condizione aveva fatto la sua forza. Il suo sax non era solo uno strumento: era una voce che raccontava rabbia, fierezza e riscatto.

L’anima dei Napoli Centrale

Senese iniziò suonando con gli Showmen, ma fu nel 1974, con la nascita dei Napoli Centrale, che trovò la sua vera forma. Con il batterista Franco Del Prete inventò un suono nuovo, un miscuglio di jazz, funk, rock e dialetto napoletano che spazzò via ogni etichetta. Era la musica di chi non aveva voce, di chi lavorava nei cantieri, nei porti, nelle periferie. “Volevamo aprire la porta a tutti i musicisti del Sud”, raccontava. Ed è esattamente quello che fece.

Brani come ‘Ngazzate nire, Napule t’è scetà e Simme iute e simme venute diventarono inni di una generazione che riconosceva in lui la rabbia e la speranza di un popolo. Senese non faceva jazz per intrattenere: lo faceva per dire che Napoli poteva suonare il mondo senza smettere di essere se stessa.

L’incontro con Pino Daniele

Con Pino Daniele nacque un’amicizia profonda, prima ancora che un sodalizio artistico. Fu Senese a notare il talento di quel ragazzo timido con la chitarra, a invitarlo nei suoi giri, a credere in lui. Poi fu Pino, anni dopo, a restituirgli il gesto: lo volle al suo fianco in dischi diventati storici, da Terra mia a Nero a metà, dove il sax di James è più di un suono, è un grido che diventa preghiera.

Con Pino e con musicisti come Tullio De Piscopo, Joe Amoruso e Rino Zurzolo, Senese diede vita a quella stagione irripetibile che oggi chiamiamo Neapolitan Power: una rivoluzione musicale che unì Africa, America e Vesuvio, portando Napoli sulla mappa del mondo.

Un’eredità che non muore

Negli ultimi anni James Senese aveva continuato a esibirsi con tenacia. Ogni concerto era una dichiarazione d’amore e di resistenza. “Io suono perché devo dire qualcosa”, ripeteva. Non c’era nulla di nostalgico in lui: solo la forza di chi sapeva di appartenere a una storia più grande.

La sua voce roca, le mani sempre in movimento, il corpo piegato sul sax come in un dialogo interiore: James non recitava la parte del musicista, era la musica. Il pubblico lo amava per questo, per quella sincerità che oggi manca a molti.

Con la sua morte, Napoli perde uno dei suoi simboli più autentici, uno di quelli che non hanno mai cercato di piacere ma di dire la verità. La verità di una città che soffre e canta, che sbaglia ma non si arrende. Il suono di Senese continuerà a vivere nei vicoli, nei concerti improvvisati, nei dischi che non invecchiano.

Chi lo ha ascoltato sa che quel suono — caldo, ruvido, inconfondibile — non apparteneva solo a lui. Era la voce di Napoli stessa. E oggi, più che mai, sembra che la città intera si sia zittita per ascoltarlo un’ultima volta.

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Ultimo Aggiornamento: 29/10/2025 08:29

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