
Il Partito Democratico vive uno dei momenti più complessi della sua storia recente. Diviso tra il richiamo del passato e l’incertezza del futuro, il Pd appare come un mosaico difficile da ricomporre. La sua doppia anima – ex comunista e ex democristiana – continua a generare tensioni interne e a rendere complicata la ricerca di una linea politica chiara e condivisa.
Negli anni si sono succeduti leader di ogni profilo: da Walter Veltroni a Pier Luigi Bersani, da Matteo Renzi a Nicola Zingaretti, fino a Enrico Letta e all’attuale segretaria Elly Schlein. Una lunga staffetta che ha prodotto più scosse che stabilità. Ma, dietro le quinte, nuovi equilibri si stanno delineando.
Tra strategie e ambizioni interne
Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo, spinge per un congresso in primavera: un’occasione per rafforzare la sua posizione interna e misurarsi con la leadership di Schlein. Quest’ultima, però, punta a rinviare tutto a dopo le Regionali, mantenendo il controllo diretto del partito attraverso un’assemblea nazionale.
Intanto, Silvia Salis resta in osservazione: l’ex atleta olimpica preferisce aspettare che la tempesta si plachi, consapevole che un passo falso potrebbe costarle caro. Tuttavia, il vero nome che agita gli equilibri interni è un altro, e arriva da Napoli.

Gaetano Manfredi, il sindaco-prof che conquista la politica
Nel panorama politico, Gaetano Manfredi appare come la figura capace di unire mondi diversi. Ex ministro dell’Università e attuale sindaco di Napoli, rappresenta il perfetto equilibrio tra rigore istituzionale e sensibilità popolare. Parla poco, sceglie con cura le parole e preferisce i fatti alla polemica: un tratto che oggi sembra raro nella politica italiana.
La sua forza è nella discrezione. Ex presidente dell’Anci e della Conferenza dei rettori, Manfredi è un tecnico rispettato ma anche un politico che sa dialogare con tutte le anime del centrosinistra, persino con i grillini e la sinistra radicale di Avs. Un profilo che rassicura e convince, dentro e fuori il Pd.

Il ruolo chiave in Campania
In Campania, Manfredi è riuscito dove molti hanno fallito: mantenere unito un Pd frammentato, dominato da correnti e dall’influenza dei De Luca. Mentre Roberto Fico fatica a imporsi come simbolo del “campo largo”, il sindaco di Napoli tiene compatta la coalizione con un equilibrio che pochi riescono a replicare.
Dietro questa apparente stabilità si nasconde però un disegno più ampio. Perché un intellettuale stimato e moderato come Manfredi dovrebbe sostenere un progetto politico non del tutto all’altezza del suo profilo? Forse per dimostrare che può essere lui il vero collante della sinistra, o per ricordare che, senza di lui, la base campana rischia di sgretolarsi.


Roma guarda a Manfredi
Il vero scenario si gioca però nella capitale. A Roma, Gaetano Manfredi è considerato la figura che più preoccupa il centrodestra. Pur non essendo iscritto al Pd, riesce a mettere d’accordo riformisti, progressisti e nostalgici della vecchia guardia. Sul suo nome si lavora in silenzio a due possibili piani.
Il piano A lo vede come candidato unitario del “campo largo” alle Politiche del 2027, nel caso in cui la leadership di Schlein dovesse vacillare. Il piano B, invece, lo immagina come figura istituzionale pronta a rilanciare il partito, anche dopo un’eventuale sconfitta o vittoria di Pirro.
Il professore che può cambiare la sinistra
Manfredi rappresenta, per molti, la speranza di una sinistra che tenta ancora di ritrovare sé stessa attraverso un tecnico di prestigio. Dopo Prodi e Draghi, l’idea di un nuovo “salvatore” con accento napoletano divide ma affascina. E se il Pd continuerà a cambiare volto senza trovare un’anima, Manfredi rischia di diventare l’ennesimo professore chiamato a ricostruire una casa che, più che crollare, non ha mai avuto fondamenta solide.


