
Non è Vladimir Putin, il nemico più pericoloso dell’Europa. È Viktor Orbán, l’uomo che dall’interno del sistema comunitario ne mina le fondamenta, travestendo l’autocrazia da sovranismo e la dipendenza economica da Bruxelles da finta ribellione. Il premier ungherese è il simbolo del nemico interno, il volto sorridente di una guerra ibrida condotta non con i carri armati ma con la manipolazione politica, la propaganda e il sabotaggio delle regole comuni.
Orbán non è un anti-europeo in senso stretto: è qualcosa di peggio. È il leader che usa l’Europa contro sé stessa. Il suo Paese è tra i principali beneficiari dei fondi europei di coesione, ma lui li utilizza per alimentare un consenso illiberale e corrotto, mentre insulta l’Unione che lo finanzia. Ogni suo discorso pubblico è un attacco alla solidarietà europea, alla difesa comune, alla politica estera unitaria, cioè agli strumenti che rendono l’Europa una potenza e non un condominio di Stati.

Il cancro che corrode dall’interno
La vera minaccia, oggi, non è più l’invasione militare o l’embargo economico, ma la disgregazione interna. Orbán è un cancro politico perché lavora per svuotare dall’interno il significato stesso di democrazia, trasformandola in una caricatura funzionale al potere personale. Quando parla di “democrazia illiberale”, non propone un modello alternativo: sta semplicemente giustificando la censura, il controllo dei media, la repressione del dissenso e la dipendenza energetica da Mosca.
La sua Ungheria è diventata il cavallo di Troia della Russia in Europa. Blocca le sanzioni, rallenta i pacchetti di aiuti a Kiev, difende i regimi autoritari e usa il veto per ottenere vantaggi economici. È un alleato di Putin travestito da membro dell’Unione. Ma, a differenza del Cremlino, agisce con il diritto di voto europeo in mano: e questo lo rende molto più pericoloso.
Meloni, l’alleanza tossica da recidere
Per l’Italia, la vicinanza a Orbán è un rischio politico e strategico. Ogni foto accanto a lui indebolisce la credibilità europea della premier e la costringe in una posizione ambigua tra chi difende l’Europa e chi la sabota. Se Giorgia Meloni vuole davvero guidare la destra europea, deve smettere di inseguire chi la disprezza.
Il tempo delle ambiguità è finito. Meloni ha costruito la sua leadership sulla coerenza e sulla difesa della sovranità nazionale, ma oggi la vera sovranità si esercita dentro l’Europa, non contro di essa. Restare legata a un leader che lavora per isolare l’Italia e indebolire Bruxelles significa farsi trascinare nel buio da chi non ha nulla da perdere.
La risposta che serve
Di fronte a questo nemico interno, l’Europa non può più limitarsi alla diplomazia. Orbán non è un partner difficile, è un sabotatore consapevole. Per questo l’Unione deve applicare fino in fondo l’articolo 7 del Trattato, che permette di sospendere i diritti di voto ai Paesi che violano lo Stato di diritto. È l’unico modo per difendere il progetto europeo senza distruggerlo dall’interno.
Ma serve anche un salto politico. L’Unione deve imparare a procedere a geometrie variabili, creando cooperazioni rafforzate tra i Paesi che credono davvero nella libertà, nella difesa comune e nell’indipendenza energetica. Non si tratta di escludere, ma di andare avanti nonostante chi vuole fermare tutto.
O l’Europa cresce, o si lascia divorare
L’Europa non può più permettersi di tollerare chi la insulta e la usa come bancomat. O diventa adulta, capace di difendere sé stessa con le proprie regole e i propri valori, oppure verrà divorata dai suoi stessi figli. Orbán non è un incidente della storia: è il sintomo di un continente che ha smarrito il coraggio di scegliere. Difendere l’Europa oggi significa scegliere chi ne fa davvero parte.


