
Tragedia in Australia, dove un giovane talento del cricket, Ben Austin, di soli 17 anni, ha perso la vita durante un allenamento a Melbourne. Il ragazzo è stato colpito da una palla lanciata da un dispositivo meccanico, il cosiddetto wanger, utilizzato per simulare tiri ad alta velocità. L’impatto si è rivelato fatale, nonostante indossasse il casco di protezione.
Secondo le prime ricostruzioni, il colpo avrebbe raggiunto il giovane all’altezza del collo, zona scoperta poiché non indossava il paracollo, una protezione che in molti considerano opzionale ma che, come dimostrano tragici precedenti, può fare la differenza tra la vita e la morte. Soccorso immediatamente, Ben Austin è stato trasportato d’urgenza in ospedale, ma i tentativi di rianimazione si sono rivelati inutili.
L’incidente è avvenuto poco prima di una partita locale del campionato T20, uno dei formati più popolari del cricket moderno. La notizia della sua morte ha scosso profondamente la comunità sportiva australiana e riaperto il dibattito sulla sicurezza degli atleti e sull’utilizzo dei dispositivi automatici nei centri di allenamento.

Il dramma di Austin ha riportato alla memoria un caso che aveva sconvolto il mondo del cricket nel 2014: quello del campione Phillip Hughes, colpito in modo simile da una palla durante una partita del campionato nazionale Sheffield Shield. Anche Hughes indossava un casco, ma fu un colpo al collo a causarne la morte. La coincidenza tragica ha riaperto ferite ancora vive nel cuore dei tifosi australiani.
Oggi, 31 ottobre, i team di Victoria e Tasmania hanno reso omaggio al giovane scomparso esponendo le mazze da cricket sul campo e osservando un minuto di silenzio prima dell’inizio della partita del campionato nazionale. Le squadre hanno inoltre indossato fasce nere in segno di lutto, mentre sul maxi schermo dello stadio di Melbourne veniva proiettata l’immagine sorridente di Ben Austin.
Il dolore si è esteso ben oltre i confini australiani. A Mumbai, durante la semifinale della Coppa del Mondo femminile tra India e Australia, anche le giocatrici di entrambe le squadre hanno indossato fasce nere al braccio, un gesto di solidarietà che ha commosso il pubblico. Il nome di Ben è così risuonato in tutto il mondo, simbolo della vulnerabilità anche negli sport più tecnici e regolamentati.
I Barmy Army, gruppo ufficiale dei tifosi inglesi di cricket, hanno condiviso sui social una raccolta fondi su GoFundMe per sostenere la famiglia del ragazzo. «Riposa in pace, Ben Austin, non sarai mai dimenticato», si legge nel messaggio pubblicato online, accompagnato da centinaia di commenti e messaggi di cordoglio provenienti da ogni parte del mondo.
Anche l’ex capitano della nazionale inglese Michael Vaughan ha voluto rendere omaggio al giovane, scrivendo un pensiero affettuoso e invitando la comunità sportiva a «riflettere su quanto sia importante non sottovalutare mai la sicurezza». L’England and Wales Cricket Board ha diffuso una nota ufficiale in cui si è detta «profondamente addolorata» e vicina alla famiglia di Ben.
In Australia, intanto, la tragedia di Austin ha già spinto la Cricket Federation a valutare nuove misure di sicurezza per gli allenamenti giovanili. La speranza è che la morte di un ragazzo così giovane possa servire da monito, portando a introdurre standard più rigorosi e una maggiore attenzione alla protezione degli atleti, affinché un dramma simile non si ripeta più.


