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“Così non ci stiamo”. Terremoto nel Pd, tutti contro Elly Schlein: è caos a sinistra

Pubblicato: 31/10/2025 09:16
Pd tutti contro Schlein

La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein si presenta alla battaglia politica con il consueto tono deciso. Giacca blu, camicia azzurra e parole scandite con fermezza, la leader dem affronta la stampa dopo il voto di Palazzo Madama che ha dato il via libera al disegno di legge sulla separazione delle carriere dei magistrati. «Non c’è bisogno che Giorgia Meloni si dimetta dopo il referendum», dichiara la segretaria, «la batteremo alle prossime elezioni». Poi ribadisce con convinzione: «Le parole pronunciate ad Amsterdam sull’allarme democrazia le ho appena ripetute e ne sono convinta». È il segnale di una sfida diretta, ma anche l’inizio di una fase complessa per il suo partito.
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Il referendum che divide il Nazareno

Dietro l’unità di facciata, il Partito Democratico si prepara ad affrontare il referendum confermativo spaccato al suo interno. La questione della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri non è nuova: da anni attraversa il Pd come una linea di faglia. Anche oggi, nonostante la segretaria ribadisca una linea contraria alla riforma voluta dal governo, molti dirigenti storici del partito guardano con favore alla divisione delle funzioni in magistratura.

Non è la prima volta che il Nazareno si trova diviso su un tema cruciale. Il precedente risale al referendum sul Jobs Act, quando una parte del partito si smarcò dalla linea ufficiale, lasciando sola la segretaria. Allora, come oggi, Elly Schlein tentò di tenere insieme anime diverse, ma la frattura tra riformisti e sinistra interna resta profonda.

Elly Schlein

Dalle mozioni del passato ai voltafaccia di oggi

A confermare la contraddizione interna bastano i documenti. Nel 2019, in occasione del congresso del Pd, l’allora candidato Maurizio Martina inseriva nella sua mozione una frase inequivocabile: «La separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale». Tra i firmatari di quella posizione figuravano esponenti oggi di primo piano come Debora Serracchiani, Matteo Orfini, Graziano Delrio, Dario Parrini, Simona Malpezzi e Vincenzo De Luca. Sei anni dopo, molti di loro hanno cambiato orientamento.

Oggi Serracchiani, responsabile giustizia del partito, parla di «un attacco alla Costituzione» e sostiene che «la separazione delle carriere significa piegare la giustizia al potere politico». Un cambio di rotta netto rispetto al passato, che evidenzia la difficoltà della segretaria nel mantenere una linea coerente. Sul fronte opposto, Goffredo Bettini, storico ideologo del Pd, resta fermo nella sua posizione: «Ritengo che la separazione delle carriere nella magistratura possa rappresentare un passo importante, persino doveroso, nella direzione di una maggiore terzietà del giudice».

Il dissenso dei riformisti

Tra i più critici verso la linea imposta da Elly Schlein c’è Enrico Morando, ex viceministro e presidente dell’associazione Libertà Eguale, che denuncia la cancellazione dell’eredità politica del centrosinistra di governo: «È inaccettabile che l’esperienza di decenni venga completamente obliterata». Il network liberal-democratico da lui guidato ha già annunciato che sosterrà il Sì al referendum, insieme a figure come Stefano Ceccanti, Lia Quartapelle, Giorgio Tonini, Irene Tinagli e Umberto Ranieri.

Anche l’ex senatore Andrea Marcucci, oggi presidente del Partito Liberaldemocratico, si è espresso in modo netto: «La separazione delle carriere dei giudici è il coronamento di una battaglia di civiltà giuridica che unisce i liberali di tutti gli schieramenti». Parole che evidenziano quanto il fronte riformista stia prendendo le distanze dal Nazareno.

Le altre forze politiche e la prospettiva di voto

Nel frattempo, le altre forze del centrosinistra osservano con cautela. Matteo Renzi e i senatori di Italia Viva si sono astenuti in Senato, mentre l’ex premier ha invitato a non drammatizzare: «Non è vero che la riforma è una svolta come sostiene il centrodestra, né un golpe come argomenta la sinistra». Una posizione mediana che conferma quanto il dibattito sulla giustizia sia diventato terreno di scontro ideologico più che di confronto tecnico.

Schlein e la sfida della leadership

Per Elly Schlein, il referendum sulla giustizia rischia di trasformarsi nella madre di tutte le battaglie. Una sconfitta referendaria potrebbe compromettere la sua leadership e indebolirla in vista delle prossime primarie di coalizione. Il suo tentativo di spostare il Pd su una linea più identitaria e progressista si scontra con la tradizione riformista di una parte consistente del gruppo dirigente.

Il rischio, per la segretaria, è che la campagna referendaria metta a nudo le divisioni interne e indebolisca ulteriormente il fronte del centrosinistra. Al Nazareno, infatti, l’unità appare solo di facciata: sotto la superficie si agitano correnti contrapposte, pronte a sfruttare l’esito del referendum come banco di prova per il futuro del partito.

Elly Schlein intende comunque andare avanti, fedele alla propria linea e al messaggio politico che ha scelto di incarnare: difendere la democrazia e contrastare le riforme del governo Meloni. Ma la battaglia referendaria non sarà soltanto uno scontro tra maggioranza e opposizione: sarà soprattutto una resa dei conti interna al Partito Democratico, chiamato ancora una volta a decidere se restare ancorato alle sue radici riformiste o seguire la rotta della nuova segreteria.

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