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Lezioni di diritto al contrario: la sinistra difende la Costituzione (contro la Costituzione)

Pubblicato: 31/10/2025 09:57

C’è un curioso sport nazionale che unisce politici, giuristi improvvisati e qualche editorialista in vena di moralismo: quello di dichiarare “incostituzionale” una legge costituzionale. È una sorta di acrobazia linguistica, un ossimoro perfetto, degno di una commedia all’italiana. Perché una legge costituzionale, per definizione, è la Costituzione che parla di sé stessa. È il modo attraverso cui la Carta si rinnova, si corregge, si adatta al tempo. Dire che “viola la Costituzione” è come accusare uno specchio di riflettere troppo bene la realtà o una bussola di puntare troppo a nord.

Eppure, ogni volta che si discute una riforma importante – come quella attuale della giustizia – il copione è sempre lo stesso. Si alza la voce dell’opposizione, si invoca la “Costituzione tradita”, si denunciano pericoli di autoritarismo. Ma nessuno spiega come possa essere “incostituzionale” un testo approvato seguendo il procedimento previsto dall’articolo 138, cioè quello che la stessa Costituzione impone quando vuole cambiare se stessa. In pratica: la Costituzione si è data un meccanismo di revisione e chi lo usa viene accusato di attentare alla Costituzione. È una gag degna di Totò, se non fosse che la recitano i partiti in Parlamento.

Il diritto non si piega ai paradossi politici

Da un punto di vista giuridico, la questione è limpida. L’articolo 138 stabilisce un procedimento aggravato: doppia approvazione, maggioranza qualificata, intervallo temporale tra le due deliberazioni, eventuale referendum confermativo. È la garanzia suprema della rigidità costituzionale, cioè del fatto che la Carta non può essere stravolta da una maggioranza momentanea. Ma quando quel procedimento è rispettato, la legge di revisione entra a far parte a pieno titolo della Costituzione. È come una nuova pagina scritta nello stesso libro, con la stessa penna e la stessa legittimità. Contestarne la costituzionalità significa non aver capito il funzionamento del diritto costituzionale, o volerlo ignorare per convenienza politica.

Certo, si può discutere se una riforma sia opportuna o sbagliata, se serva davvero a migliorare il sistema giudiziario o se sia solo un’operazione di potere. Ma il piano è politico, non giuridico. In un ordinamento come il nostro, non esiste un “tribunale della Costituzione” che possa dichiarare illegittima una legge costituzionale: la Corte costituzionale giudica le leggi ordinarie in rapporto alla Costituzione, non la Costituzione in rapporto a se stessa. Sarebbe come chiedere al testo di Dante se si trova d’accordo con la Divina Commedia.

Il paradosso della sinistra: difendere la Costituzione contro la Costituzione

C’è poi l’aspetto più grottesco, quello politico. Una parte della sinistra sembra aver trasformato la parola “Costituzione” in una reliquia sacra, intoccabile, buona per chiudere ogni discussione. Il problema è che la stessa Costituzione, con una certa lungimiranza, ha previsto il proprio cambiamento: non per capriccio, ma per adattarsi all’evoluzione della società e delle istituzioni. Pretendere che ogni revisione sia un attentato democratico significa negare proprio lo spirito della Carta. È un po’ come dire che chi ristruttura casa “distrugge” le fondamenta, quando invece si limita a renderle più solide.

Nessuno obbliga a condividere la riforma della giustizia proposta dal governo, ma il dibattito serio non può ridursi alla parola magica “incostituzionale”, pronunciata come un esorcismo. È la forma moderna dell’indignazione rituale: si grida al golpe, si invoca Calamandrei e poi si torna alle vecchie polemiche di partito. In realtà, l’unica cosa davvero “incostituzionale” è la superficialità con cui si usano certi termini. Perché la Costituzione non è un totem, ma un processo vivo di revisione e bilanciamento. È la prova che il diritto, a differenza delle ideologie, non ha paura del cambiamento.

Alla fine, ciò che resta è un equivoco di fondo: confondere la costituzionalità con la convenienza politica. Se una riforma viene approvata secondo le regole costituzionali, è costituzionale. Punto. Tutto il resto è dibattito, opinione, narrazione. Ma non diritto. Ecco perché le accuse di “incostituzionalità” rivolte a una legge costituzionale fanno sorridere chi conosce la materia: sono il sintomo di un Paese che ha dimenticato la differenza tra forme e contenuti, tra principi e propaganda.

Una riforma costituzionale può essere contestata, criticata, anche respinta dai cittadini con un referendum. Ma non può essere “incostituzionale”, così come un cielo non può essere “troppo blu”. È un errore logico prima ancora che giuridico. E forse, in fondo, è proprio questo il vero nodo del dibattito italiano: la Costituzione non è in pericolo, lo è la logica di chi la usa come scudo quando non ha argomenti.

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