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Trump umilia Orban: “Nessuna esenzione sul petrolio russo”. Fine del mito dell’amicizia sovranista, l’America first non fa sconti a nessuno

Pubblicato: 31/10/2025 20:02

Trump non guarda in faccia a nessuno: nemmeno a Orban. La frase “non concederò nessuna esenzione” taglia di netto la sceneggiatura che il premier ungherese stava già preparando per il suo viaggio del 7 novembre a Washington. A bordo dell’Air Force One, il presidente degli Stati Uniti ha ricordato al mondo che la sua dottrina resta identica a quella del primo mandato: America first, non “America e gli amici first”. Se per Washington le sanzioni contro il petrolio russo sono strategiche, non esistono corsie preferenziali, nemmeno per chi si presenta come alleato ideologico. Il sovranismo da salotto si scioglie davanti alla geopolitica vera.

Orban voleva ottenere un’eccezione speciale, convinto che il suo prestigio nel fronte conservatore internazionale potesse valere un salvacondotto energetico. Ma la risposta di Trump ha demolito il castello narrativo: zero privilegi, zero sentimentalismi. L’America non fa favori agli amichetti, e soprattutto non li fa quando si parla di petrolio, sanzioni e guerra in Ucraina. Il leader ungherese, che da anni si propone come il “ponte” tra Mosca e l’Occidente, scopre di essere trattato come un richiedente qualsiasi, non come il fratello politico del presidente USA.

Il petrolio russo è l’ossigeno energetico di Orban

La vera portata dello schiaffo si vede nei numeri: oltre il 70% del greggio ungherese arriva ancora dalla Russia. Budapest non ha diversificato le fonti, non ha investito seriamente nelle alternative, non ha ridotto la dipendenza strategica dal Cremlino. Per Orban, il petrolio russo non è solo una scelta economica: è il pilastro del suo modello politico. Gli permette di calmierare i prezzi interni, di fare populismo energetico e di presentarsi come il “difensore del benessere ungherese contro le follie di Bruxelles”. Senza quel flusso, l’intero equilibrio sociale rischia di saltare.

Ecco perché il premier voleva l’esenzione: non per un principio, ma per sopravvivenza. Perché un conto è attaccare la “burocrazia europea”, un altro è trovarsi il rubinetto del greggio chiuso e l’inflazione che diventa esplosiva. Ma per Trump questo non conta: la priorità è impedire che Mosca continui a guadagnare miliardi vendendo energia all’Occidente mentre bombarda l’Ucraina. Se ne fa le spese Orban, problema suo.

Fine dell’illusione sovranista

La destra europea che aveva costruito il mito dell’“internazionale sovranista” si ritrova ora con una lezione durissima: le parole non valgono quanto il petrolio, le conferenze non valgono quanto le pipeline, i selfie ai summit non valgono quanto le sanzioni. Trump non è l’amico che apre scorciatoie: è il presidente che usa l’amicizia come leva finché serve, e la lascia cadere quando diventa un peso.

Questa è la parte che Orban non può dire ai suoi elettori, ma che racconta perfettamente il mondo com’è, non come lo si vorrebbe nelle narrazioni social: l’America tratta da potenza, non da confraternita. Il resto è folklore ideologico.

L’effetto domino in Europa

Il messaggio non è solo per Budapest. È per chi, in Europa, pensa di costruire zone franche dentro l’Occidente: chi si crede abbastanza furbo da prendere i soldi di Bruxelles, l’ombrello NATO e il gas di Mosca; chi predica la “pace” mentre firma accordi commerciali con il Cremlino; chi gioca con l’ambiguità strategica finché non arriva l’America a ricordare che la guerra in Ucraina non è un talk show, e che ogni eccezione energetica è un regalo diretto a Putin.

Orban ora dovrà decidere se tornare al ruolo di bastone tra le ruote dell’Europa o se riallinearsi. Ma una cosa è certa: non potrà più fingere che esista un “club sovranista” capace di proteggere chi si crede abbastanza furbo da stare in mezzo. Il mondo reale ha bussato alla porta, e non parla ungherese. Parla geopolitica.

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Ultimo Aggiornamento: 31/10/2025 21:28

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