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Addio a Francesca Duranti, la scrittrice dell’ironia malinconica

Pubblicato: 01/11/2025 10:25

È morta a Lucca, all’età di novant’anni, Francesca Duranti, una delle voci più riconoscibili e personali della narrativa italiana del secondo Novecento, autrice capace di raccontare per oltre quarant’anni le fragilità, i silenzi e la borghesia del Paese con uno stile insieme ironico, malinconico e profondamente umano. Nei suoi romanzi ha attraversato il confine sottile tra intimità e memoria, scavando nei moti della coscienza con una leggerezza mai superficiale e con una precisione narrativa che l’ha resa una presenza appartata ma centrale nella letteratura italiana. I funerali si terranno lunedì 3 novembre alle 15 alla Casa del commiato della Croce Verde, lungo la via Romana a Lucca, ultima tappa di una vita divisa tra scrittura, osservazione del mondo e una discrezione che era quasi un’etica personale oltre che letteraria.

Nata a Genova il 2 gennaio 1935 con il nome di Maria Francesca Rossi, figlia del giurista Paolo Rossi — presidente della Corte costituzionale tra il 1975 e il 1978 —, aveva scelto da anni di vivere tra Lucca e New York, due luoghi che non erano soltanto coordinate geografiche ma paesaggi interiori della sua scrittura: la quiete e le radici della campagna toscana da un lato, il ritmo e l’apertura cosmopolita della metropoli americana dall’altro. In questo doppio orizzonte, sospeso tra senso della misura e desiderio di movimento, si è costruita la sua voce narrativa, riconoscibile per limpidezza, ironia trattenuta e un’attenzione costante ai moti impercettibili della vita emotiva.

La casa sul lago della luna e il successo internazionale

Duranti esordì nel 1976 con La bambina, seguito da Piazza mia bella piazza nel 1978, ma fu con La casa sul lago della luna (1984) che conquistò sia il pubblico sia la critica, firmando il romanzo che sarebbe diventato il suo capolavoro: finalista al Premio Strega, vincitore del Premio Bagutta, tradotto in sei lingue, raccontava la ricerca di un manoscritto misterioso intrecciata alla ricerca della propria identità, in una metafora perfetta del suo modo di intendere la narrativa come indagine dell’animo umano e come gesto di salvezza attraverso le parole. Quel libro segnò l’inizio di una stagione di grande riconoscibilità che avrebbe consolidato la sua figura tra le scrittrici più importanti della sua generazione, capace di unire misura classica e vibrazione emotiva, equilibrio formale e inquietudine sotterranea.

Negli anni successivi pubblicò opere che confermarono la sua maturità stilistica e la qualità della sua voce: Lieto fine (1987), Effetti personali (1988, vincitore del Premio Campiello e del Premio Hemingway), Ultima stesura (1991), Progetto Burlamacchi (1994) e Sogni mancini (1996). Con L’ultimo viaggio della Canaria (2003), romanzo familiare dai toni autobiografici, tornò a esplorare il legame tra destino individuale, memoria e appartenenza, ottenendo per la seconda volta il Premio Rapallo-Carige. Nei suoi libri la narrazione non era mai un semplice dispositivo emotivo, ma una forma di conoscenza: un modo per interrogare la realtà e la sua imperfezione con uno sguardo insieme affettuoso e disincantato.

L’eredità di una narratrice del sentimento

La sua prosa, colta ma limpida, ha descritto come poche altre le contraddizioni della borghesia italiana, restituendone le incrinature interne con uno sguardo che non giudicava ma osservava, cercando nel dettaglio quotidiano la verità nascosta dei sentimenti. Più volte definita “narratrice del sentimento”, Duranti ha saputo tenere insieme leggerezza e malinconia, ironia e pudore, precisione narrativa e consapevolezza emotiva, facendo della misura stilistica una forma di resistenza al rumore del mondo.

Tra le sue ultime opere si ricordano Il comune senso delle proporzioni (2000), Come quando fuori piove (2006), Un anno senza canzoni (2009) e Il diavolo alle calcagna (2011). Accanto alla narrativa si dedicò alla traduzione e alla riflessione sul linguaggio, come nel suo brillante Manuale di conversazione: né rissa né noia (2009), in cui dichiarava in filigrana la sua idea di scrittura come arte dell’ascolto e della precisione. Nel 1988 fondò insieme ad Antonio Dini il Premio dei Lettori a Lucca, pensato per restituire centralità alla voce di chi legge, ribadendo che la letteratura è prima di tutto un dialogo.

Tradotta in diciotto lingue, vincitrice anche del Prix des Lectrices di Elle in Francia, lascia un’eredità narrativa in cui passato e presente, realtà e sogno, sorriso e malinconia convivono con una grazia discreta che non ha mai avuto bisogno di ostentazione. Con lui se ne va una scrittrice appartata ma luminosa, che ha raccontato la vulnerabilità umana senza mai trasformarla in spettacolo, fedele a un’idea di letteratura che scolpisce la verità nei dettagli, nei silenzi e nei gesti minimi.

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