
C’è un momento, nella vita di molte famiglie, in cui la fiducia diventa una necessità. Quando gli anni passano e i genitori non sono più autosufficienti, si cerca qualcuno che possa offrire loro cura, presenza e rispetto. Non sempre si tratta di una scelta facile: aprire la porta di casa a un estraneo significa affidargli ciò che si ha di più prezioso, il benessere dei propri cari. È un gesto di speranza e, insieme, di vulnerabilità.
Leggi anche: “Sono qui per l’annuncio”. Ma è una trappola: orrore in Italia, violenza atroce su una donna attirata così
Per molti, trovare una persona affidabile è come trovare un nuovo membro della famiglia. Si cercano referenze, si parla con le agenzie, si osserva il modo in cui quella persona si muove, parla, sorride. Poi si decide, convinti che la professionalità e la compassione guideranno chi si prenderà cura degli anziani. Ma a volte, dietro una facciata di normalità, si nasconde qualcosa che sfugge ai controlli, qualcosa che Internet, con il suo archivio infinito, può riportare a galla quando è ormai troppo tardi.
La scoperta che cambia tutto
È quello che è accaduto a una donna, convinta di aver fatto la scelta giusta per i suoi genitori. Aveva trovato un badante tramite un’agenzia, un uomo che a prima vista sembrava affidabile e premuroso. Le prime settimane scorrevano tranquille, poi piccoli gesti, sguardi e atteggiamenti hanno cominciato a farla dubitare. Nulla di concreto, solo un istinto. Ed è stato proprio quell’istinto, unito a un pizzico di curiosità e paura, a spingerla a cercare il nome dell’uomo su Internet.

Quello che ha scoperto ha avuto l’effetto di una frustata: dietro quella figura apparentemente rispettabile si nascondeva un passato segnato da violenze e abusi sessuali. Non un pettegolezzo, ma una condanna vera e propria, pronunciata da un tribunale italiano.
L’inquietante verità a Belluno
Il fatto è accaduto a Belluno, dove la donna ha assunto il badante per assistere i suoi genitori anziani. L’uomo, un ex operatore socio-sanitario, era stato condannato per abusi su otto donne ospiti della Rsa “Monumento ai Caduti” di San Donà di Piave, in provincia di Venezia.
A rivelarlo è stata una semplice ricerca online: bastava digitare il suo nome per ritrovare articoli e sentenze che documentavano la vicenda. L’uomo, tuttavia, si trova ancora a piede libero, in attesa della decisione definitiva della Corte di Cassazione sulla pena da scontare.
La donna, raccontando la sua esperienza a Il Gazzettino, ha spiegato di averlo assunto tramite agenzia senza essere informata dei suoi precedenti. «Non sapevo nulla del suo passato – ha dichiarato – mi ero fidata. L’ho scelto solo perché mi sembrava gentile e disponibile».
“Non sapevo nulla del suo passato”
Dopo la scoperta, la donna ha immediatamente interrotto la collaborazione e ha avvisato le autorità. L’agenzia che aveva proposto il lavoratore ha ammesso di non essere al corrente dei suoi trascorsi giudiziari. Una giustificazione che, però, apre un problema ben più grande: l’assenza di controlli sistematici sui precedenti penali del personale che opera nell’assistenza domiciliare.

Secondo quanto dichiarato, infatti, le verifiche vengono effettuate solo sui lavoratori stranieri, per controllare la regolarità del permesso di soggiorno, mentre per gli italiani ci si limita a fidarsi dei documenti e delle referenze. Un sistema fragile, che espone le famiglie a rischi enormi.
«Mi sono sentita tradita – ha raccontato la donna –. Non solo da lui, ma da un meccanismo che non protegge chi si affida con fiducia. Bastava una ricerca, eppure nessuno l’ha fatta».
Il passato che ritorna
L’ex operatore, protagonista del caso giudiziario di San Donà di Piave, era stato condannato per abusi sessuali su donne anziane e non autosufficienti. Le indagini avevano rivelato episodi di violenza consumati tra le mura di una struttura che avrebbe dovuto garantire sicurezza e dignità alle ospiti. Le vittime, fragili e incapaci di difendersi, avevano subito violenze nei momenti di assistenza, durante l’igiene personale o le cure quotidiane.
Le prove e le testimonianze avevano portato a una condanna in appello, ma la sentenza definitiva è ancora nelle mani della Cassazione. In attesa di quel verdetto, l’uomo è libero, e questo gli ha consentito di tornare a lavorare a contatto con persone fragili.
Un vuoto nei controlli che fa paura
La vicenda di Belluno mette a nudo un vuoto normativo che lascia spazio a casi simili. Non esiste un registro nazionale dei lavoratori dell’assistenza, né un obbligo per le agenzie di consultare i precedenti penali di chi viene assunto. Una mancanza che, come dimostra questa storia, può trasformare un gesto di fiducia in un incubo domestico.
Dopo la denuncia della donna, si torna a discutere della necessità di norme più severe e controlli più capillari, per evitare che persone con condanne legate alla violenza o agli abusi possano continuare a lavorare nel settore dell’assistenza.
La paura e il senso di sollievo
Oggi la protagonista della vicenda parla di paura, ma anche di gratitudine per aver scoperto la verità in tempo. «Poteva andare molto peggio – ha detto –. Mi basta pensare a cosa sarebbe potuto succedere se non avessi fatto quella ricerca».
Il caso di Belluno non è solo una storia di cronaca, ma un campanello d’allarme per migliaia di famiglie italiane che ogni giorno si affidano a badanti, infermieri e operatori domiciliari. È la dimostrazione che la fiducia, da sola, non basta: servono controlli reali, trasparenza e responsabilità per proteggere chi, nella propria casa, dovrebbe sentirsi al sicuro.


