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Cos’è il federalismo pragmatico di cui parla Draghi e perché è la svolta necessaria

Pubblicato: 02/11/2025 20:42

Immaginiamo per un attimo un’Europa che non procede più alla velocità di una bicicletta, ma con la lentezza di una carrozza trainata da un cavallo stanco. Le sfide internazionali, la tecnologia che avanza a razzo, la competizione globale che non aspetta: tutto ci spinge a chiederci se quel modello europeo che abbiamo imparato a conoscere (ventisette Paesi, unanimità, trattati complessi, processi lunghi) sia ancora adatto ai tempi. È in questa cornice che Mario Draghi, ricevendo a Oviedo il Premio Princesa de Asturias per la Cooperazione Internazionale, ha rilanciato un concetto che suona tanto tecnico quanto politico: un «federalismo pragmatico». Ma di cosa si tratta? E perché è una svolta necessaria per l’Ue?

Un’idea concreta per un’Europa che si muove

Un termine che può sembrare accademico, ma che nella visione di Mario Draghi racchiude una richiesta di concretezza. Non parla di un sogno federale astratto, né di un’utopia tecnocratica. Parla di un’Europa che deve finalmente smettere di discutere per agire, capace di muoversi con la stessa velocità delle altre potenze globali. Gli Stati Uniti e la Cina agiscono come blocchi coesi, con strategie comuni e tempi di reazione minimi. L’Europa invece resta intrappolata nei meccanismi della consultazione e dell’unanimità, come se il consenso fosse più importante del risultato. Il suo «federalismo pragmatico» parte proprio da qui: dall’idea che non serva muoversi tutti insieme, ma che chi vuole e può debba poter andare avanti, formando quelle che l’ex presidente della BCE ha definito «coalizioni di volenterosi». Gruppi di Paesi che condividono un interesse strategico, che sia difesa, energia, ricerca, intelligenza artificiale o semiconduttori, e che decidono di agire, investire, crescere insieme. Non si tratta di creare divisioni, ma di evitare paralisi. Non un’Europa a due velocità, ma un’Europa che finalmente si muove.

Un contesto di crisi, non di accademia

«Quasi ogni principio su cui si fonda l’Unione è sotto attacco», ha ricordato Draghi a Oviedo. «Abbiamo costruito la nostra prosperità sull’apertura e sul multilateralismo, e ora affrontiamo protezionismo e azioni unilaterali; abbiamo creduto che la diplomazia potesse garantire la sicurezza, e invece assistiamo al ritorno della potenza militare come strumento di affermazione», ha aggiunto l’ex numero uno della Bce. In questo scenario, il federalismo pragmatico diventa un modo per reagire: un piano operativo per rispondere alle crisi globali non con la retorica, ma con la capacità di azione. Ciò che rende interessante la proposta è la sua natura non ideologica: si tratta di una strategia di sopravvivenza economica e politica. Significa accettare che alcuni Paesi dell’Ue potranno procedere più rapidamente, altri unirsi in seguito. Ma l’importante è rompere l’immobilismo. L’ex premier lo ha detto con chiarezza: «Quanto grave deve diventare una crisi affinché i nostri leader uniscano le forze e trovino la volontà politica di agire?». È una domanda che suona come un monito, ma anche come un invito.

Dalla teoria al metodo: il successo del Next Generation Eu

In fondo, l’idea di un’Europa a cerchi concentrici non è nuova. Se ne discute da anni nelle università, nei think tank, nelle cancellerie. Ma ciò che Draghi aggiunge oggi è la dimensione del metodo: pragmatico, flessibile, orientato ai risultati. Niente proclami, solo la volontà di mettere insieme le forze dove serve, con procedure più snelle, fuori dai vincoli paralizzanti dei trattati. È una visione che prende spunto anche dal successo del Next Generation EU, un piano nato come risposta emergenziale alla pandemia ma che ha dimostrato come l’Unione possa agire efficacemente quando mette in comune risorse e obiettivi.

Le tante ambizioni del federalismo pragmatico di Draghi

Il federalismo pragmatico di Draghi ha anche un’altra ambizione, meno tecnica ma forse più profonda: rinnovare la legittimità democratica dell’Europa. Aderire a progetti comuni dovrebbe richiedere ai governi nazionali di ottenere il sostegno dei cittadini su obiettivi specifici. In questo modo la partecipazione popolare diventerebbe il motore di un’Europa costruita dal basso, non un’imposizione dall’alto. Non un disegno astratto di Bruxelles, ma un percorso in cui i popoli europei tornano protagonisti. Naturalmente le difficoltà non mancano. Alcuni Stati membri (basti pensare all’Ungheria) continueranno a esercitare il veto per difendere interessi nazionali. Altri temeranno di restare indietro, di essere esclusi dai progetti più ambiziosi. E poi c’è la questione della coesione interna: come mantenere l’unità se alcuni vanno avanti e altri no? Draghi sembra rispondere implicitamente a queste obiezioni: l’alternativa all’integrazione differenziata non è l’unità, ma il blocco totale. Meglio un’Europa che avanza a scatti, che un’Europa che non si muove affatto.

Il ruolo dell’Italia in questo delicato momento

L’Italia, in questo quadro, ha un ruolo particolare. Non è tra i Paesi più rapidi né tra i più lenti, ma può scegliere di stare nella parte che traina. Mario Draghi lo sa, e da italiano lo dice senza rivendicazioni nazionali: partecipare a coalizioni europee efficienti significa essere parte delle decisioni che contano, non subirle. Significa anche liberarsi da un complesso d’inferiorità verso il “centro” europeo, mostrando che il contributo italiano, in ricerca, industria, cultura, può essere determinante in qualsiasi alleanza di Paesi volenterosi. In un’Europa che si allarga a trenta e più membri, mantenere l’unanimità su tutto sarebbe una scelta controproducente. Del resto, il messaggio di Draghi è chiaro: o l’Unione cambia passo, o verrà travolta dagli eventi. Il federalismo pragmatico è dunque una chiamata all’azione, non un’utopia.

Il federalismo pragmatico, l’arte di rendere possibile ciò che è necessario

Ciò che colpisce, nel suo discorso, è anche il tono. Non c’è l’enfasi del leader politico, ma la lucidità di chi conosce i limiti della macchina europea e ne ha già visto i rischi. «Un’Europa che agisce non per paura del declino, ma per orgoglio di ciò che può ancora realizzare», ha detto l’economista a Oviedo. È un’espressione che sintetizza l’intera visione di Draghi: la fiducia come motore, non la paura come freno. In questo senso, il federalismo pragmatico è la naturale prosecuzione di un percorso. Chi ha seguito Draghi da vicino e chi ne ha raccontato il cammino, come ho fatto nel mio libro Mario Draghi. La speranza non è una strategia, sa che la sua forza è sempre stata la concretezza. Dalla Banca d’Italia al governo, ha mostrato che le soluzioni nascono dall’analisi e dal coraggio di agire, non dalla ricerca del consenso facile. Il suo nuovo appello all’Europa va letto nello stesso modo: non come un discorso accademico, ma come un piano d’azione.

L’Europa non ha bisogno di nuovi miti fondativi. Ha bisogno di funzionare. Il federalismo pragmatico non è un compromesso al ribasso, ma un realismo al rialzo: l’arte di rendere possibile ciò che è necessario. E forse, per una volta, anche di farlo in tempo. Non siete d’accordo?

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Ultimo Aggiornamento: 02/11/2025 20:47

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