
È morta a 89 anni Diane Ladd, attrice americana tra le più riconoscibili del cinema del secondo Novecento, tre volte candidata all’Oscar e per oltre sessant’anni presenza irregolare, libera e mai addomesticata dallo stile patinato dell’industria. A dare l’annuncio è stata la figlia, l’attrice premio Oscar Laura Dern, che ha parlato della madre come di “un dono profondo, la più grande delle eroine”, raccontando che è morta nella casa di famiglia a Ojai, in California. Ladd non ha mai rincorso il ruolo della diva, ma quello più raro dell’interprete capace di portare in scena donne contraddittorie, ferite, sarcastiche, mai addolcite per piacere al pubblico. La sua non era una recitazione elegante: era una recitazione necessaria. Hollywood l’ha considerata una forza laterale e indispensabile, una presenza che, anche in pochi minuti, poteva spostare il baricentro di un film.
Scorsese, Polanski e la prima nomination
La svolta arrivò nel 1974 con “Alice non abita più qui” di Martin Scorsese, dove interpretava una cameriera dal carattere ruvido e affilato: un ruolo non centrale, ma capace di conquistare l’Academy e portarla alla prima candidatura all’Oscar. Nello stesso anno comparve in “Chinatown” di Roman Polanski, piccolo ruolo ma impronta netta: una donna ambigua che introduce il detective di Jack Nicholson nel cuore marcio della storia. Ladd non era mai un’aggiunta, ma una frattura nella superficie del film. Le sue donne non erano simboliche né conciliate: erano vive, storte, scomode, fragili e feroci allo stesso tempo. E proprio per questo, necessarie.
Lynch, il grottesco e la nomination insieme alla figlia

Nel 1990 arrivò la seconda candidatura con “Cuore selvaggio” di David Lynch, dove interpretò Marietta Fortune, madre ossessiva, grottesca e disperata: un personaggio al limite che nelle sue mani diventava insieme ridicolo e tragico, perfettamente coerente con il mondo deformato del regista. Un anno dopo fu di nuovo candidata, con “Rosa Scompiglio e i suoi amanti”, nel ruolo di una matriarca del Sud: film che la legò per sempre alla figlia Laura Dern, con cui entrò nella storia come prima coppia madre-figlia mai nominata nello stesso anno agli Oscar. Ladd non vinse la statuetta, ma non ne aveva bisogno: era l’esempio vivente di un’attrice che non si è mai fatta ridurre a formato.
Diane Ladd lascia un’eredità insolita per Hollywood: dimostrare che si può attraversare il sistema senza diventare un prodotto, senza levigare le spigolosità, senza farsi correggere dal mercato. Il cinema non le ha dato tutto, ma lei ha restituito qualcosa che pochi sanno lasciare: autenticità.


