
C’è un tratto di strada, tra i Fori Imperiali e il Colosseo, che ieri si è trasformato in una scena sospesa: sirene, caschi gialli, macerie, polvere che entra nei polmoni e resta incollata ai vestiti. In mezzo a quel rumore sordo, fatto più di attese che di parole, c’era anche una donna che non riusciva a stare ferma, passava da un lato all’altro del cordone, si lasciava abbracciare da chi provava a sostenerla e poi tornava a guardare verso il punto esatto in cui sapeva che lui era ancora lì, sotto le pietre. In quel vuoto improvviso, il suo nome era diventato un unico respiro che oscillava tra la vita e la fine: Octav Stroici.
Roma ha visto tante immagini di emergenze, ma ieri l’attesa è durata troppo, come se il tempo si fosse rotto insieme ai muri. Ogni sirena che partiva sembrava promettere notizie. Ogni silenzio le smentiva. La città, abituata a fotografare le rovine, ha scoperto quanto possa essere feroce il presente quando crolla davvero qualcosa, non solo nella memoria.
Dalla Romania a Monterotondo
Octav aveva 66 anni ed era nato a Suceava, città nel nord della Romania, nella regione moldava. In Italia aveva costruito una nuova casa, a Monterotondo, insieme alla moglie. Una vita ordinaria, fatta di lavoro e famiglia, con il legame alle proprie origini che non si era mai spezzato. Sul suo profilo social resta una foto al mare, una delle ultime: lui e lei, soli, un sorriso di quelli che non hanno bisogno di didascalie.
Ieri mattina era uno dei quattro operai impegnati nel cantiere alla Torre dei Conti, nel cuore di Roma. Gli altri tre sono stati salvati. Lui è rimasto intrappolato. Sotto i blocchi di pietra, sotto i detriti, sotto undici ore di attesa che hanno trasformato un turno di lavoro in una condanna lentissima.
L’attesa infinita, poi la corsa in ospedale
La moglie è arrivata subito, si è messa dietro le transenne, ha chiesto, ha ascoltato, ha aspettato. Al suo fianco l’ambasciatrice romena in Italia, Gabriella Dancau, e il personale del consolato, rimasti con lei per tutto il tempo. Chi le è stato vicino racconta che “non riusciva a parlare, era in apprensione”, mentre gli operatori confermavano che Octav respirava ancora, ma non riusciva a muoversi né a rispondere.
Alle 22.36 i vigili del fuoco lo hanno estratto vivo. In ambulanza hanno tentato di rianimarlo con un lungo massaggio cardiaco. Poi il trasferimento all’ospedale Umberto I. Infine, la notizia che nessuno voleva sentire: Octav non ce l’ha fatta.
Era un lavoratore, un marito, un uomo con una vita normale. La città lo ha conosciuto solo nel momento della tragedia. Ma ora il suo nome resterà legato a un crollo che non riguarda solo le pietre, ma anche il modo in cui una storia privata diventa, all’improvviso, storia di tutti.


