
La Corte d’Assise d’Appello di Milano ha emesso la sentenza di secondo grado nel caso di Alessia Pifferi, la 38enne accusata di aver lasciato morire di stenti la figlia Diana di 18 mesi. La Corte ha cancellato l’ergastolo inflitto in primo grado, riducendo la pena a 24 anni di carcere.
Il giudizio sulla capacità di intendere e volere
I giudici di Appello hanno ribadito la capacità di intendere e di volere di Alessia Pifferi al momento del fatto, smentendo la tesi difensiva che puntava sull’incapacità mentale per richiedere un’accusa meno grave, come l’abbandono di minore.
Tuttavia, la sentenza introduce un elemento cruciale: la concessione delle attenuanti generiche. Queste attenuanti, secondo la Corte, risultano equivalenti alle aggravanti del reato (l’omicidio aggravato dal rapporto di filiazione).
Dolore e rabbia nelle parole di Viviana Pifferi, sorella di Alessia, che è esplosa dopo la sentenza: “Non è giustizia. Questa sentenza lascia l’amaro in bocca e dolore per una bambina che non c’è più. Lei non ha nessun rimorso di coscienza, ma si danno solo 24 anni a una mamma che è andata a divertirsi invece di badare alla figlia”.
Il meccanismo della riduzione di pena
In primo grado, la Corte aveva riconosciuto l’omicidio volontario con dolo diretto aggravato dal rapporto di filiazione. Senza attenuanti, questo aveva portato alla condanna all’ergastolo (pur escludendo l’aggravante della premeditazione).
Nel secondo grado, i giudici hanno applicato il principio di equivalenza tra attenuanti e aggravanti. Questo meccanismo ha l’effetto di elidere le aggravanti, riportando di fatto la condanna al massimo possibile per l’omicidio semplice (senza aggravanti), che ammonta a 24 anni.
- Primo Grado: Omicidio volontario aggravato (filiazione) $\implies$ Ergastolo (Aggravanti > Attenuanti).
- Secondo Grado: Omicidio volontario aggravato (filiazione) con Attenuanti Generiche Equivalenti $\implies$ 24 anni (Aggravanti = Attenuanti).
I disturbi mentali e la perizia d’ufficio
La concessione delle attenuanti generiche è stata motivata recuperando alcuni tratti critici dell’assetto mentale di Pifferi, delineati in una seconda perizia d’ufficio disposta dalla stessa Corte d’Appello.
Tale perizia, svolta dagli esperti Giacomo Francesco Filippini, Stefano Benzoni e Nadia Bolognini, aveva rilevato una “fragilità cognitiva” settoriale e una “immaturità affettiva” in Pifferi. Questi elementi sono stati ricondotti a “residuo di disturbi del neurosviluppo” risalenti all’infanzia-adolescenza, pur evoluti in senso migliorativo in età adulta. Nonostante ciò, la perizia aveva concluso che tale “deficit cognitivo è scarsamente incidente” sul funzionamento psico-sociale, non arrivando a invalidare significativamente la sua capacità di intendere e volere.
La Pubblica Ministera in Appello, Lucilla Tontodonati, aveva invece chiesto la conferma dell’ergastolo, definendo la condotta “particolarmente raccapricciante” e omissiva. La difesa, sostenuta dall’avvocata Alessia Pontenan, aveva battuto sul tasto del deficit cognitivo di Pifferi, definita “ritardata mentale” e “vaso vuoto” incapace di trovare soluzioni alternative, chiedendo il coraggio di andare contro l’opinione pubblica e la richiesta dell’accusa.


