
La Commissione europea riapre un dossier che sembrava ormai chiuso: lo stop ai motori a combustione previsto per il 2035. Dopo mesi di silenzio, da Bruxelles arrivano segnali concreti di una possibile revisione del regolamento sulle emissioni di CO₂ per le nuove auto, una delle decisioni più controverse del Green Deal europeo. A confermarlo è stato il commissario al Clima, Wopke Hoekstra, che ha annunciato una valutazione d’impatto in corso per preparare la nuova proposta legislativa.
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Il 10 dicembre, data già cerchiata in rosso nei calendari del Collegio dei Commissari, sarà presentato un pacchetto legislativo dedicato al settore automotive, che potrebbe ridisegnare il futuro della mobilità in Europa. La revisione non rappresenta solo un aggiustamento tecnico, ma un cambio di rotta politico e industriale destinato a incidere su milioni di automobilisti e su un intero comparto produttivo che vale una fetta significativa del PIL europeo.
Un pacchetto per sostenere l’industria e correggere la rotta
Il nuovo pacchetto della Commissione comprenderà, secondo le anticipazioni, la revisione degli standard di emissione, una strategia per il potenziamento delle batterie, un piano “Omnibus” di semplificazioni per le imprese e una proposta specifica sull’elettrificazione del parco veicoli aziendale. L’obiettivo è chiaro: ricalibrare la transizione ecologica per non compromettere la competitività delle case automobilistiche europee, oggi sotto pressione tra costi elevati, dipendenza dalle forniture asiatiche e concorrenza cinese sempre più aggressiva.

Le aziende europee hanno investito miliardi per adeguarsi alla rivoluzione elettrica, ma i risultati commerciali faticano a tenere il passo con le aspettative. In molti Paesi, la domanda di auto elettriche cresce lentamente, frenata da un’infrastruttura di ricarica ancora insufficiente e da un potere d’acquisto ridotto. In questo contesto, Bruxelles sembra voler prendere tempo, cercando un equilibrio tra gli obiettivi ambientali e la sopravvivenza industriale del settore automobilistico.
La spinta geopolitica e l’effetto Trump
Dietro questa revisione, tuttavia, non c’è solo una questione economica. Il contesto internazionale pesa in modo determinante. L’America di Donald Trump, con le sue promesse di smantellare le politiche climatiche e ridimensionare gli impegni del Green Deal statunitense, ha messo in allerta le istituzioni europee. Bruxelles teme che un eventuale rallentamento degli Stati Uniti possa creare un divario competitivo insostenibile: un’Europa vincolata da regole rigide, costretta a ridurre le emissioni, mentre le potenze concorrenti si muovono più liberamente sul mercato globale.
Questo rischio ha spinto la Commissione a valutare una linea più pragmatica, che mantenga gli obiettivi di neutralità climatica ma introduca margini di flessibilità per proteggere la produzione europea e l’occupazione. In gioco c’è non solo la sostenibilità ambientale, ma anche l’autonomia strategica di un continente che non vuole dipendere interamente da tecnologie e fornitori extraeuropei.
Il fronte interno e le divisioni tra Stati membri
Anche dentro l’Unione, i malumori si moltiplicano. Alcuni Stati membri, come Germania e Italia, chiedono da tempo una revisione della scadenza del 2035, sostenendo che un approccio più realistico possa garantire una transizione sostenibile senza distruggere posti di lavoro e competenze. Berlino e Roma spingono per il riconoscimento dei carburanti sintetici (e-fuel) e delle tecnologie ibride avanzate come strumenti complementari all’elettrificazione.
Per i Paesi più industrializzati, la posta in gioco è altissima: un intero sistema produttivo rischia di essere messo in crisi da una normativa che, se applicata senza correttivi, potrebbe provocare delocalizzazioni, cali occupazionali e perdita di competitività rispetto a Cina e Stati Uniti. In questo clima di incertezza, l’idea di deroghe mirate o di una proroga oltre il 2035 appare sempre meno remota.

Un banco di prova per il futuro dell’Europa verde
La decisione che sarà discussa a dicembre rappresenta un vero banco di prova per la politica ambientale europea. Da un lato, Bruxelles deve mantenere la propria credibilità internazionale e l’impegno verso la neutralità climatica entro il 2050; dall’altro, deve rispondere a una realtà economica fatta di fabbriche in difficoltà, filiera occupazionale in crisi e mercati instabili.
In gioco non c’è solo la scadenza del 2035, ma il modello stesso di transizione ecologica che l’Europa intende adottare nei prossimi decenni. Se la Commissione riuscirà a trovare un equilibrio tra ambizione ambientale e sostenibilità industriale, il continente potrà consolidare il proprio ruolo guida nella lotta al cambiamento climatico. In caso contrario, il rischio è quello di una retromarcia forzata, che trasformerebbe il simbolo della transizione verde in un terreno di scontro politico e industriale senza precedenti.


