
Sarà la Corte d’Assise di Perugia, dal 22 gennaio 2026, a giudicare il giovane romano di 18 anni accusato di istigazione al suicidio per la morte di Andrea Prospero, lo studente di Ingegneria informatica ritrovato senza vita lo scorso gennaio in un appartamento del capoluogo umbro. Il giudice Simona Di Maria ha disposto il rinvio a giudizio, respingendo la richiesta di patteggiamento avanzata dalla difesa e giudicando “non congrua” la pena proposta in rapporto alla gravità del caso.
Un rapporto nato online e degenerato
Secondo quanto ricostruito dalla Procura di Perugia, guidata da Raffaele Cantone, tra i due giovani si era instaurato un legame virtuale tramite Telegram. Nel corso delle conversazioni, Andrea – 19 anni, originario di Chieti e studente fuori sede – avrebbe manifestato pensieri suicidari, ricevendo però dal suo interlocutore incoraggiamenti a compiere il gesto, anziché aiuto o supporto.

Le chat analizzate dalla Polizia Postale rivelano un susseguirsi di messaggi inquietanti. Il diciottenne avrebbe fornito al coetaneo istruzioni precise su come togliersi la vita, consigliandogli un mix di farmaci e alcol. Tra le frasi finite agli atti: “Prendi gli oppiacei o fai un cappio” e “Se vuoi ammazzarti, fallo senza fare scene”. Un video acquisito dagli inquirenti, registrato la mattina del 24 gennaio, mostrerebbe Andrea mentre assume le sostanze indicate, poco prima di perdere conoscenza.
Le prove e la ricostruzione della Procura
Secondo l’accusa, invece di chiedere aiuto, il diciottenne avrebbe omesso di allertare i soccorsi, limitandosi a scrivere in chat: “Stai parlando con un morto”, seguito da “Facciamoci i fatti nostri”. Per la Procura si tratta di una prova evidente della consapevolezza del dramma e dell’assenza di ogni tentativo di salvataggio.
Le indagini hanno inoltre svelato aspetti sconosciuti della vita di Andrea. All’insaputa dei familiari, il ragazzo aveva affittato un monolocale non lontano dallo studentato. All’interno dell’abitazione, gli investigatori hanno rinvenuto cinque telefoni cellulari, carte di credito intestate ad altri, una notevole somma di denaro contante e oltre sessanta schede SIM, indizi di una possibile rete di contatti legata a ambienti di hacking e comunicazioni criptate.
Il processo e le parti civili
Durante l’udienza preliminare, la difesa – rappresentata dall’avvocato Alessandro Ricci – non ha riformulato alcuna proposta alternativa dopo il rigetto del precedente patteggiamento, che prevedeva due anni e mezzo di lavori di pubblica utilità. I familiari di Andrea, assistiti dagli avvocati Carlo Pacelli e Francesco Mangano, si sono costituiti parte civile. Ora il diciottenne rischia una condanna a diversi anni di carcere.


