
Nel caso di Garlasco, torna al centro dell’attenzione un dettaglio che riaccende i riflettori su una delle vicende più discusse della cronaca italiana: la misteriosa scomparsa dell’unghia di Chiara Poggi. A parlarne è stato Milo Infante nel programma Ore 14 Sera, dove ha ricostruito la catena di errori e incongruenze che avrebbero segnato la gestione dei reperti. Due, in particolare, le anomalie che emergono e che lasciano ancora oggi molti interrogativi aperti.
L’unghia del mignolo sinistro della giovane, infatti, risulta scomparsa. Inoltre, al momento della raccolta delle prove, le unghie non furono conservate separatamente, ma mischiate in due sole provette — una per la mano destra e una per la sinistra. Un errore che ha reso ancora più complesso un caso già pieno di ombre. “Se ci dobbiamo concentrare sul quinto dito, non è detto che sia il mignolo”, ha dichiarato Milo Infante, definendo la vicenda “l’ennesimo mistero nella storia di Garlasco”.
Un dettaglio che cambia tutto
Il conduttore ha precisato che, secondo l’autopsia, “pare che si siano persi l’unghia del mignolo della mano sinistra di Chiara Poggi e quindi le provette sono nove e non dieci”. Un particolare che potrebbe sembrare marginale, ma che in realtà ha un peso enorme: sotto quelle minuscole tracce potevano nascondersi elementi genetici utili a identificare l’assassino.
Infante ha aggiunto un’altra osservazione significativa: “Quando tagliano le unghie di Chiara invece di mettere le unghie di ogni dito di una mano in una provetta, cosa fanno? Tutte in una. Una provetta per la mano sinistra e una provetta per la mano destra”. Da quel momento, il lavoro dei Ris di Parma è diventato un vero rompicapo: risalire a quale dito appartenesse ogni frammento, cercando di ricostruire una catena di custodia ormai compromessa.

Il Dna che riapre i dubbi
Proprio sotto una di quelle unghie — forse il mignolo della mano destra — gli esperti avrebbero rinvenuto un quantitativo “molto elevato” di Dna subungueale. Si tratta di materiale genetico raccolto per contatto diretto, un indizio che suggerirebbe come Chiara si sia difesa con forza, graffiando l’aggressore durante la colluttazione.
Nel tentativo di ricostruire l’origine dei frammenti, gli esperti si sono accorti della mancanza dell’unghia sinistra e della presenza, invece, di piccoli pezzi del mignolo destro meglio conservati. “In questi frammenti infatti non solo viene identificato il Dna ritenuto riconducibile ad Andrea Sempio, ma la sua quantità e il livello di conservazione è in assoluto il migliore di tutto quello fino a quel momento repertato”, è stato spiegato durante la trasmissione. Un dettaglio che riaccende dubbi sul possibile coinvolgimento di altre persone oltre ad Alberto Stasi, condannato nel 2015 in via definitiva per l’omicidio.

Le falle nelle indagini e le reazioni in studio
Le incongruenze sulle unghie non sono l’unico punto critico del caso. In studio è stato ricordato anche l’uso di garze non sterili e la contaminazione di alcuni campioni di Dna, episodi che avrebbero potuto compromettere la credibilità di tutta l’indagine. Tutti elementi che pesano ancora oggi sul caso e che continuano a dividere l’opinione pubblica.
La criminologa Roberta Bruzzone, ospite della puntata, ha espresso tutto il suo sconcerto: “Mi trovo grandemente in imbarazzo a commentare quello che stiamo vedendo. Non credo di avere alcuna argomentazione che possa spiegarne la logica”. Ha poi ricordato che errori simili si sono verificati anche in altri casi, come quello di Paganelli, dove “purtroppo anche lì abbiamo avuto delle incertezze importanti, addirittura la perdita di un reperto fondamentale, cioè di un capello lungo dentro la bocca della vittima”.

Un simbolo di un’inchiesta ancora irrisolta
Il mistero dell’unghia perduta di Chiara Poggi non è solo un dettaglio tecnico, ma il simbolo delle falle investigative che hanno accompagnato il caso Garlasco fin dall’inizio. Un tassello mancante che continua a sollevare interrogativi, lasciando aperta la possibilità che, dietro le prove già note, si nascondano ancora verità mai del tutto emerse.
Un enigma che, a distanza di anni, continua a scuotere la memoria collettiva e a ricordare quanto sia sottile la linea tra la verità processuale e quella che, forse, non è ancora venuta alla luce.


