
L’aumento di stipendio per Renato Brunetta, presidente del Consiglio nazionale dell’economia e del Lavoro (Cnel), ha scatenato una vibrante polemica politica in Italia, portando alla luce questioni spinose riguardo la spesa pubblica, gli emolumenti delle alte cariche e il divario tra la classe politica e i cittadini. La vicenda ruota attorno all’incremento del compenso di Brunetta, passato da 250 mila euro a 310 mila euro l’anno, un aumento significativo di 60 mila euro.
Questo adeguamento, esteso anche ai dirigenti del Cnel, ha immediatamente suscitato l’indignazione delle opposizioni, che denunciano una presunta disparità di trattamento tra i vertici istituzionali e il ceto medio alle prese con difficoltà economiche. La polemica si è intensificata anche per la natura dell’incarico di Brunetta, che, essendo già in pensione dal 2022, è riuscito a cumulare il suo stipendio grazie a una specifica disposizione normativa, sollevando interrogativi sulla validità della legge del 2012 che vietava incarichi retribuiti nella pubblica amministrazione a chi fosse già in quiescenza.
La controversia sugli emolumenti
La notizia dell’aumento di stipendio per il presidente Brunetta ha trovato immediatamente eco nelle dichiarazioni dei leader dell’opposizione. Matteo Renzi, leader di Italia Viva, ha attaccato duramente la decisione, mettendo in relazione l’aumento delle retribuzioni dei vertici del Cnel con la presunta mancanza di risorse per il ceto medio.
Renzi ha specificato che la delibera del Cnel avrebbe comportato un aumento di 1,5 milioni di euro per i vertici e di 200 mila euro per lo staff, coniando il termine “poltronificio di Brunetta” per stigmatizzare l’operazione. Il succo dell’accusa è chiaro: mentre il governo guidato da Giorgia Meloni non riuscirebbe a trovare i fondi necessari per supportare economicamente i lavoratori, le risorse verrebbero invece stanziate per incrementare i privilegi delle alte cariche. Questa narrazione alimenta il dibattito sulla priorità di spesa del governo e sull’equità nella distribuzione delle risorse pubbliche.
Le aspre critiche delle opposizioni
La critica si è fatta ancora più aspra con l’intervento di Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana. Fratoianni ha messo in evidenza non solo l’entità dell’aumento, ma anche l’apparente contraddizione tra l’incremento salariale di Brunetta e la sua posizione contraria all’introduzione di un salario minimo di 9 euro lordi l’ora.
Questa contrapposizione è stata percepita dalle opposizioni come l’emblema di un doppio standard morale e politico, dove chi gode di retribuzioni elevate si oppone a misure volte a garantire una soglia di dignità economica per i lavoratori a basso reddito. Fratoianni ha utilizzato parole forti come “Da non credere” e “senza vergogna alcuna” per esprimere il suo sdegno, sottolineando come l’aumento non riguardasse solo Brunetta, ma avesse portato al raddoppio della spesa per le retribuzioni del Cnel, un’istituzione spesso al centro del dibattito sulla sua effettiva utilità.
La genesi della polemica
La vicenda ha avuto origine nel marzo 2024, quando un articolo ad hoc è stato inserito all’interno dei 44 articoli del decreto Pnrr in esame alla Camera dei Deputati. Questa disposizione ha rappresentato la chiave di volta che ha consentito al presidente e ai componenti del Cnel di ricevere il nuovo compenso, bypassando di fatto il divieto imposto dalla legge del 2012 sugli incarichi retribuiti per i pensionati nella pubblica amministrazione. Brunetta, che è in pensione dal 2022, è stato quindi legalmente autorizzato a cumulare pensione e stipendio.
È questa deroga normativa a costituire il principale punto di frizione e di accusa da parte delle opposizioni. Il Cnel, dal canto suo, ha fornito la sua giustificazione, definendo l’adeguamento come un «allineamento ai parametri di altri organi costituzionali». Questa argomentazione, tuttavia, non è bastata a sedare gli animi, venendo percepita da alcuni come un tentativo di legittimare un privilegio.
La casta e la percezione pubblica
Le opposizioni hanno sfruttato l’episodio per rilanciare la retorica della “Casta” e di una presunta “nuova età dell’oro” per la classe dirigente italiana. La deputata del Movimento 5 Stelle, Daniela Morfino, ha sintetizzato il sentire dell’opposizione con un’affermazione netta: «Con Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, il potere si autoprotegge mentre i cittadini stringono la cinghia».
Questa dichiarazione incarna la preoccupazione che le decisioni del governo favoriscano i vertici istituzionali a scapito delle necessità economiche dei cittadini comuni. La polemica sullo stipendio di Brunetta e dei dirigenti del Cnel si inserisce, pertanto, in un contesto più ampio di dibattito sulla trasparenza, l’equità retributiva e la responsabilità etica della classe politica, specialmente in un momento storico caratterizzato da incertezze economiche e crescenti disuguaglianze sociali. La vicenda ha inevitabilmente messo in discussione la credibilità delle politiche di austerità o di rigore, se percepite come applicabili solo al ceto medio e non ai beneficiari di incarichi istituzionali di alto livello.
Il contesto del Cnel e l’utilità
Il Consiglio nazionale dell’economia e del Lavoro, il Cnel, è un organo di rilievo costituzionale, ma la sua effettiva utilità e funzionalità sono state oggetto di discussione e di proposte di abolizione in passato. Il fatto che un aumento di stipendio così significativo riguardi proprio i vertici di un’istituzione percepita da alcuni come dispendiosa o superflua aggiunge un ulteriore livello di critica alla polemica.
L’aumento degli emolumenti è visto non solo come un privilegio, ma anche come uno spreco di denaro pubblico per un ente che non sempre riesce a dimostrare il suo impatto positivo e la sua efficienza nella vita economica e sociale del Paese. La difesa del Cnel, che parla di “allineamento ai parametri”, non riesce a smorzare le critiche di chi vede in questa manovra una conferma che la politica si preoccupa prima dei propri interessi che di quelli della collettività.


