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Peppe Vessicchio, l’ultima carezza della sua “famiglia al femminile”

Pubblicato: 08/11/2025 21:29

Dietro l’immagine pubblica del maestro, impeccabile sul podio e simbolo rassicurante del Festival di Sanremo, c’era un uomo che ha sempre difeso la parte più intima di sé: la famiglia. Non amava esibirla, non la portava in tv, non la trasformava in spettacolo. La considerava la sua musica segreta, quella che non si dirige con la bacchetta ma con la gratitudine. Nel momento più duro, quello dell’addio, accanto a lui c’erano le persone che avevano condiviso tutto: la moglie Enrica, la figlia Alessia, le nipoti e persino le bisnipoti. Un cerchio affettivo chiuso, morbido, quasi silenzioso. Una “famiglia al femminile”, come lui stesso l’aveva definita con un sorriso che diceva più di mille interviste.

La storia d’amore con Enrica aveva il passo delle cose lente, solide, ignorate dai riflettori. Si erano conosciuti negli anni Settanta, avevano attraversato insieme carriere, viaggi, sacrifici, palchi e attese. Lei, donna di cultura e scrittura, aveva scelto di restare un passo indietro, come fanno quelli che sanno il valore della discrezione. Nessuna mondanità, nessun clamore: bastava la casa piena di libri, la complicità di chi non ha bisogno di spiegarsi, la gioia di vedere crescere una figlia che diventava madre e poi nonna. In quell’architettura domestica fatta di affetti, il maestro trovava la sua parte più vera, quella che non finiva mai sullo spartito.

Una vita tra podio e casa

Non era un uomo da confessioni pubbliche. Parlava di armonia, ma raramente raccontava la propria. Eppure chi lo conosceva davvero sapeva che dietro il suo sguardo mite c’era un orgoglio preciso: l’aver costruito una famiglia che non ha mai avuto bisogno di clamore per sentirsi forte. Le donne della sua vita gli somigliavano: sobrie, gentili, intransigenti nei valori. Non erano il contorno di un protagonista, erano la sua orchestra domestica, presente nei giorni di gloria come in quelli di stanchezza, quando la musica non basta a reggere il peso delle assenze e del tempo che passa.

Nel reparto dell’ospedale romano dove si è spento, nessun frastuono, nessuna telecamera, solo mani intrecciate e parole basse. Nessuna conferenza stampa, nessun funerale spettacolare, nessuna richiesta di attenzione: la famiglia ha chiesto riserbo, l’unico modo possibile per onorare un uomo che ha sempre accompagnato la vita con pudore. Gli applausi, stavolta, resteranno fuori dalla porta. Dentro, restano il ricordo e il suono di una voce familiare che non ha bisogno di palco per continuare a vibrare.

L’eredità più intima

Oggi l’Italia ricorda il direttore d’orchestra, il simbolo, l’icona pop della bacchetta. Ma quelle che restano davvero sono le sue panchine domestiche: le cene lente, le stanze piene di musica non registrata, le risate con le nipoti, la carezza ai capelli di una bisnipote curiosa, la complicità senza parole con Enrica. È questa la partitura preziosa che la sua famiglia custodisce. Nessuna nota scritta, ma un tema costante: la gentilezza come scelta, il talento come dono, l’amore come radice.

L’uomo che faceva emozionare il pubblico dirigerà ancora, altrove. Ma la sua orchestra più perfetta resterà sempre quella che non ha mai avuto bisogno di luci. Quella che oggi lo saluta con la delicatezza delle cose che non si spiegano: una musica che continua, anche quando il maestro ha già chinato la testa.

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