
“Portami a casa“. Lo ripeteva ogni volta al nipote, con voce affaticata ma lucida, Giuseppe Turchetto, 101 anni, ricoverato nel reparto di lungodegenza dell’ospedale di Settimo Torinese, dove ha trascorso le ultime due settimane della sua vita. Nessuno poteva immaginare che dietro quella supplica si nascondesse una realtà fatta di maltrattamenti e sofferenze, in un luogo che avrebbe dovuto garantirgli cura e dignità.
Le indagini della Procura di Ivrea
Le immagini raccolte dalla Guardia di Finanza raccontano ciò che il nipote Davide Turchetto non avrebbe mai voluto vedere: Giuseppe Turchetto immobilizzato al letto con una cintura all’addome e fasce ai polsi, una condizione inaccettabile per un uomo ultracentenario. L’inchiesta della Procura di Ivrea ha portato alla luce una serie di presunti abusi nel reparto, con ventiquattro tra medici e infermieri interdetti per dodici mesi.
Secondo quanto emerso, almeno quindici pazienti sarebbero stati sedati in modo eccessivo o legati ai letti senza un adeguato monitoraggio, in violazione delle procedure sanitarie e del rispetto dovuto ai malati.
Il dolore del nipote e la ricerca di giustizia
“Io non mi ero mai accorto che quei metodi potessero essere inadeguati“, ha dichiarato Davide Turchetto, ex consigliere comunale di Settimo, che ha appreso dell’inchiesta solo dai giornali. “Forse quella richiesta di tornare a casa era il segno di una condizione poco umana“, ha aggiunto con amarezza, ricordando le ultime parole del nonno.
Oggi Davide sta valutando la possibilità di costituirsi parte civile nel processo, affinché venga fatta chiarezza su quanto accaduto e perché nessun altro anziano debba subire le stesse umiliazioni.
La morte di Giuseppe Turchetto, e la sua ultima preghiera di libertà, restano come un monito doloroso contro ogni forma di disumanità nei luoghi destinati alla cura e alla protezione dei più fragili.


