
Il mondo del giornalismo e della gastronomia perde una voce preziosa quando un talento unico scompare. Il cibo non è solo nutrimento: è memoria, cultura e comunità. Raccontare le storie dietro una ricetta o un libro richiede sensibilità, curiosità e capacità di osservazione, tutte qualità che pochi giornalisti possiedono in modo naturale. Rachel Cooke è stata tra questi, trasformando ogni pezzo scritto in un racconto vivo, capace di connettere lettori e culture diverse.
In un’epoca in cui il giornalismo corre veloce, il valore di chi sa fermarsi, approfondire e restituire umanità emerge con forza. Rachel Cooke aveva questa rara capacità: ogni articolo, ogni critica gastronomica era attraversata da entusiasmo, rigore e curiosità, rendendo la lettura piacevole e istruttiva. La sua scrittura non si limitava a raccontare, ma illuminava aspetti della vita che altrimenti sarebbero rimasti inosservati.

È scomparsa all’età di 56 anni Rachel Cooke, giornalista e critica gastronomica inglese. La sua vita e la carriera hanno lasciato un’eredità straordinaria, raccontando con ironia e profondità i piaceri del cibo e dando voce a donne resilienti che hanno attraversato la storia. Per un quarto di secolo, Cooke ha firmato articoli per The Observer, dove la sua presenza si è fatta sentire anche negli ultimi mesi, quando il cancro le ha impedito di tornare in redazione.
Negli ultimi giorni, le speranze dei colleghi di vederla tornare al lavoro si sono affievolite, mentre il marito, lo scrittore Anthony Quinn, aggiornava sulle difficoltà legate alla malattia. Chi l’ha conosciuta ricorda il suo approccio unico: capace di passare dall’entusiasmo per le piccole gioie della vita a uno sguardo critico sulle storture del mondo, con una combinazione rara di calore umano e indignazione morale.
L’amore per il giornalismo e le muse ispiratrici
Rachel Cooke si era innamorata del giornalismo fin da giovane, trovando in Katharine Whitehorn, pioniera del femminismo britannico, una vera musa. Conservava nel diario un talismano prezioso: la copia del telegramma di Whitehorn ai genitori, datato 1956, che annunciava il suo primo incarico da reporter. Quella meraviglia accompagnò Cooke per tutta la vita, diventando il motore che la spingeva a raccontare il mondo senza perdere mai la curiosità.
Chi la conosceva ricorda il suo occhio da regista e la memoria da archivista sentimentale, capace di riportare con precisione i dettagli più minimi della propria infanzia. Nata e cresciuta a Sheffield, Cooke trascorse tre anni in Israele, dove frequentò una scuola della Chiesa di Scozia a Jaffa. Lì imparò il valore del cibo come ponte tra culture e come elemento capace di creare comunità.
Cibo, libri e grandi interviste
Nella sua raccolta Kitchen Person, Cooke raccontava come il cibo le avesse permesso di comprendere la propria famiglia e di mantenere legami affettivi anche dopo la separazione dei genitori. La sua passione per la tavola era sempre accompagnata da uno sguardo critico sulle mode alimentari e sulle diete, dimostrando una genuina gioia per i piaceri semplici.
Ma il cibo non era l’unica passione: Cooke era una lettrice instancabile e una difensora delle biblioteche pubbliche, considerate strumenti di autoformazione. La sua rubrica Shelf Life celebrava libri dimenticati e autori meno noti, mentre le sue interviste a figure letterarie e femministe – da Gore Vidal a Gloria Steinem – mostravano coraggio e capacità di osservazione, senza timore di dire la propria.
Una carriera straordinaria
Iniziata al Sunday Times e passata per il New Statesman, la vera casa di Cooke rimase The Observer, dove il suo lavoro era simbolo di rigore, inventiva e leggerezza. I colleghi la ricordano come una fuoriclasse: capace di scrivere centinaia di articoli all’anno senza mai perdere energia o attenzione ai dettagli. Jane Ferguson, sua editor per vent’anni, la definisce “la spina dorsale del giornale”, mentre Paul Webster elogia il suo pezzo sull’incoronazione di Re Carlo come esempio della sua maestria.
Molti sostengono che un talento come il suo avrebbe meritato una produzione ancora più ampia. Cooke se n’è andata troppo presto, a soli 56 anni, ma i suoi scritti continuano a parlare per lei, lasciando un’impronta indelebile nel giornalismo e nella cultura inglese.


