
Le prime ore del mattino si trasformano in un momento di forte mobilitazione per i lavoratori della ex Ilva di Genova, decisi a manifestare senza più esitazioni contro un futuro che percepiscono sempre più incerto. Dopo l’assemblea interna, gli operai lasciano lo stabilimento e percorrono la strada Guido Rossa alla guida dei mezzi aziendali, diretti verso Cornigliano. La loro è una scelta collettiva e determinata: dare vita a un presidio annunciato come permanente, un gesto che racconta meglio di ogni discorso la gravità della situazione.
Leggi anche: Genova, tragedia al porto: operaio muore schiacciato da un container, indetto uno sciopero
La tensione aumenta quando, intorno alle nove, il blocco totale di via Cornigliano interrompe la circolazione davanti alla stazione. Una scelta che rispecchia la volontà di rendere visibile, urgente e ineludibile la protesta, portando il malessere dei reparti direttamente nel cuore del quartiere. Sullo sfondo, resta lo spettro di una crisi industriale che i lavoratori definiscono ormai fuori controllo.
L’allarme dei delegati Fiom
Il messaggio lanciato dagli esponenti sindacali è netto, privo di giri di parole. Armando Palombo, storico delegato Fiom Cgil, e Stefano Bonazzi, segretario generale Fiom Cgil Genova, parlano di un rischio concreto e imminente: “Il piano del governo porta alla chiusura della fabbrica con la conseguenza che a Genova abbiamo mille posti di lavoro a rischio, mille famiglie che rischiano di perdere il loro sostentamento e la fine della siderurgia nella nostra città e nel paese”.

Secondo Palombo, la situazione produttiva è ormai allo stremo: “Quel poco che si produce si vende subito a Taranto per fare cassa. Ovviamente gli stabilimenti del Nord, Genova in primis, poi Novi eccetera, non avranno più prodotto e quindi chiudono. Vuol dire che a Genova, perché adesso siamo a Genova, si perdono 1.000 posti di lavoro”. La denuncia non si limita alla difesa dell’occupazione, ma tocca anche un tema più ampio: la sorte dell’intera siderurgia italiana. “Qua stanno chiudendo la siderurgia d’Italia”, afferma infatti il delegato.
Alla protesta si accompagna un appello diretto alle istituzioni territoriali: “E chiediamo agli enti locali, al Comune, alla Regione, di sospendere ogni attività come segno di solidarietà e di cominciare a trovare soluzioni serie a 1.000 posti di lavoro”. La richiesta è chiara: non più comunicati di supporto, ma azioni concrete e immediate.

La prospettiva della cassa integrazione e lo spettro della chiusura
Palombo e Bonazzi illustrano uno scenario che definiscono drammatico, sottolineando una scadenza precisa e imminente: “Dal primo gennaio saranno in 6 mila a livello nazionale a trovarsi in cassa integrazione e dal primo di marzo chiuderanno tutti gli impianti”. Una previsione che, nelle loro parole, non lascia spazio a interpretazioni o ottimismo. Il rischio, affermano i sindacalisti, è quello di assistere alla definitiva paralisi della filiera produttiva, con conseguenze sociali ed economiche enormi.
Nel racconto dei lavoratori emerge una sensazione diffusa: mancano prospettive, manca un piano, manca una direzione credibile. Per questo la protesta assume toni così radicali, perché — ribadiscono — è in gioco il futuro di intere famiglie.
L’annuncio dello sciopero e la decisione di occupare la fabbrica
A dare ulteriore peso alla mobilitazione interviene Nicola Apicella, coordinatore RSU Fiom Cgil, che sintetizza lo stato d’animo dei reparti: “Oggi c’è l’annuncio di 24 ore di sciopero. Noi abbiamo dichiarato l’occupazione della fabbrica. Con i nostri mezzi andremo a Ponte Morigiano e aspetteremo lì. Qualcosa succederà”.
Parole che confermano la scelta di alzare il livello dello scontro, portando la protesta oltre i confini simbolici e dentro quelli della lotta operaia più tradizionale. Apicella aggiunge un appello diretto agli amministratori locali: “Chiediamo agli enti locali, Comune e Regione, non solo solidarietà con comunicati, ma che sospendano le sedute e che si facciano vedere. E che comincino a pensare che Genova perde 1.000 posti di lavoro. Quindi, a chi annunciava piani fantasmagorici, oggi sul piatto c’è non un cassintegrato in più, ma 1.000 posti di lavoro”.

Una vertenza che esplode nel cuore della città
La manifestazione dei lavoratori Ilva si trasforma così in un segnale d’allarme che attraversa tutta la città. Con la protesta a oltranza, il presidio in strada e l’annuncio dell’occupazione della fabbrica, il messaggio ai decisori politici è univoco: il tempo è scaduto. Mentre la produzione si riduce e le prospettive si assottigliano, i lavoratori chiedono interventi immediati e strategie reali, temendo che ogni ritardo possa diventare definitivo.
Nel frattempo Genova assiste alla mobilitazione dei suoi operai, simbolo di una crisi industriale che, secondo i sindacati, rischia di cancellare non solo mille posti di lavoro, ma un intero pezzo della sua identità produttiva.


