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“Piano del Quirinale” contro Meloni, chi c’era dietro: il mistero dell’audio segreto alla Terrazza Borromini

Pubblicato: 20/11/2025 07:21

Il presunto complotto ordito contro la Premier Giorgia Meloni, che avrebbe visto coinvolto il nome di Francesco Saverio Garofani, Consigliere del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha avuto il suo epicentro in una serata a Roma, ricca di commensali e di discussioni informali. Le parole che hanno scatenato il clamore mediatico – e che facevano riferimento, tra le altre cose, alla necessità di una «lista civica nazionale» e di una potenziale «crisi dello spread» come fattori destabilizzanti per il governo in carica – sarebbero state pronunciate da Garofani giovedì 13 novembre presso la Terrazza Borromini, un ristorante con vista su Piazza Navona.

L’incontro, un momento conviviale che seguiva un evento pubblico tenutosi al Tempio di Adriano in memoria del calciatore Agostino Di Bartolomei, ha rapidamente deviato verso scenari politici e presunte strategie per arginare l’azione dell’esecutivo. La vicenda ha assunto i contorni di un vero e proprio caso politico e giornalistico in seguito alla diffusione di una mail anonima che ha riportato stralci di queste conversazioni private.

La cena alla Terrazza Borromini

Il «cocktail» incriminato si è svolto in un’atmosfera apparentemente rilassata e confidenziale. Il tavolo era stato prenotato per diciotto persone, ma i presenti effettivi erano sedici, tutti invitati personalmente da Luca Di Bartolomei, figlio del compianto capitano della Roma e, come lui stesso si definisce, «un amico di lunga data di Garofani». Di Bartolomei, che in passato è stato iscritto al Partito Democratico, ha fortemente smentito qualsiasi idea di un «complottone» contro il governo, bollando l’intera vicenda come «il nulla».

Secondo il suo racconto, la scelta della Terrazza Borromini non aveva nulla di strategico, essendo semplicemente un luogo dove si sentivano «a proprio agio» e il cui gestore è un «caro amico» e un grande tifoso romanista. Luca Di Bartolomei ha difeso con forza la figura di Garofani, descrivendolo come «la persona più moderata e più istituzionale che abbia mai conosciuto», e definendo l’idea di vederlo coinvolto in «complotti» come assolutamente fuori dalla sua natura.

Le frasi estrapolate e il patto tradito

Il figlio di Agostino Di Bartolomei ha ammesso di aver invitato i commensali, ma ha categoricamente rifiutato di rivelare i nomi, anche «sotto tortura, per rispetto della privacy». Ha inoltre sollevato il forte sospetto che le frasi finite sui giornali siano state estrapolate e riportate in «maniera totalmente artificiosa». La sua difficoltà nel ricordare un contesto specifico per le dichiarazioni di Garofani lo ha portato a credere che si trattasse di «frasi estemporanee» o, peggio ancora, di «frasi estrapolate in maniera proditoria». Questa ipotesi sottende il sospetto che qualcuno tra i presenti abbia deliberatamente «tradito un patto» di confidenzialità. L’elemento centrale del mistero, infatti, rimane l’identità di chi abbia ascoltato, mentalmente annotato, o forse addirittura registrato di straforo le parole del consigliere di Mattarella e le sue «elucubrazioni» su scenari politici futuri, quali la potenziale «crisi dello spread» come acceleratore di difficoltà per la Premier Meloni.

L’anonimato di “Mario Rossi” e l’email

Lo scandalo ha preso una piega ufficiale con la ricezione di una email anonima inviata a diverse testate giornalistiche di destra. Il quotidiano Il Giornale, diretto da Alessandro Sallusti, ha rivelato che la missiva era datata domenica, alle ore 13:24, e risultava firmata da un certo “Mario Rossi”, un nome ritenuto presumibilmente di fantasia, con un indirizzo email generico. Il testo dell’email, che secondo alcune ricostruzioni sarebbe stato pubblicato integralmente da alcuni giornali, ad eccezione della sola firma, conteneva un attacco preciso, affermando l’esistenza di una «conversazione, avvenuta lontano dai riflettori…» e concludendo con la suggestione che il Quirinale stesse «osservando, valutando, probabilmente orientando». Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, ha sostenuto di aver ricevuto la notizia da una «fonte più che autorevole», rigettando l’idea di aver pubblicato un articolo così delicato basandosi unicamente su una lettera anonima.

Le smentite e il mistero dell’audio

Il condirettore de La Verità, Massimo De Manzoni, ha vivacemente smentito la ricostruzione suggerita da Il Giornale circa l’origine della notizia, parlando apertamente di «invidia» da parte dei colleghi. La sua difesa si è incentrata sul fatto che la sua testata non avrebbe mai agito sulla base di una semplice lettera anonima, suggerendo che la loro fonte fosse ben più solida di un fittizio «Mario Rossi». Tuttavia, il mistero si è infittito in merito all’esistenza di un audio che proverebbe in modo inequivocabile le parole di Garofani. Il quotidiano non ha fornito chiarimenti definitivi in merito, ma De Manzoni ha mantenuto aperta l’ipotesi con la laconica risposta: «Esiste un audio? Possibile». La domanda centrale e irrisolta rimane: chi, tra gli altri quindici commensali, ha effettivamente acceso il cellulare e registrato le conversazioni informali, trasformando una cena privata in una potenziale crisi politica? Tra i presenti all’evento precedente alla cena, da cui il gruppo si è mosso verso la Terrazza Borromini, figuravano peraltro nomi noti come il conduttore Giovanni Floris, il prefetto di Roma Lamberto Giannini, e dirigenti Rai come Paolo Del Brocco, a testimonianza di un contesto di frequentazioni di alto livello istituzionale e mediatico.

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