
Lui e Alain Delon? «I più belli di tutti». A dirlo non era certo lui, che lo aveva amato in gioventù e con cui è rimasto legato per oltre sessant’anni, ma un maestro assoluto come Luchino Visconti. Fu proprio il regista a volerlo nel cast de La caduta degli dei e, successivamente, a cercarlo per altri ruoli. Ma quel tedesco di Monaco di Baviera, radicato poi in Brianza, dotato di grande presenza scenica e fascino magnetico, desiderava stimoli diversi da quelli che gli offriva il cinema.
A ricordarlo oggi è Carlo Belgir, titolare di un noto atelier milanese di tessuti e compagno di una vita. Nessuno meglio di lui può raccontare Wolfgang Hillinger, per tutti “Wolf il tedesco”, che dopo un’esistenza nomade e avventurosa aveva scelto come rifugio una tenuta a Usmate Velate, dove era molto conosciuto e amato.

L’ex attore si è spento a 85 anni, dopo una malattia. Nel corso della sua carriera aveva partecipato a una ventina di film, generalmente in ruoli minori o cameo. Ma la sua bellezza evidente e la statura scenica lo salvarono dal diventare una semplice comparsa, trasformandolo in un volto ricercato.
Hillinger lavorò con autori come Visconti, Pasolini – che lo volle nel Decameron – Benigni in La vita è bella, e Fellini, che lo coinvolse in uno degli episodi del celebre Satyricon (1969). Apparve inoltre in molte commedie degli anni Sessanta, tra cui il cult Diabolik di Mario Bava.
«Ma Wolf amava più la vita vera che la finzione del cinema», ricorda Belgir. «Abbiamo condiviso un’infinità di esperienze. Siamo stati legati sentimentalmente da giovani, poi la passione ha lasciato spazio a una convivenza e a un’affinità profonda». Nel 2017 i due avevano celebrato la loro unione civile, il primo matrimonio arcobaleno della Brianza.

Fino all’ultimo, il loro legame è rimasto intatto. «L’ultima sera prima che morisse siamo andati al cinema a vedere un film d’autore cinese. Per noi era sempre così: cinema, teatro, cultura. Mai fermi».
I ricordi scorrono fino agli anni Sessanta, quando il cinema italiano brillava di creatività. «Ci conoscemmo sul set di un suo film. Frequentavamo entrambi i circoli culturali milanesi», racconta Belgir. Poi gli incontri in Brianza, dove Hillinger arrivò per la prima volta ospite della famiglia di Carlo: «Si innamorò subito della tenuta. Il giardino lo ha creato lui».
Viaggiatore instancabile e curioso del mondo, Hillinger amava perdersi. «Si è ritrovato tra giungle, foreste, città lontane. Una volta si unì persino a una tribù di berberi e rimase con loro nel deserto. Diceva sempre che più che tedesco si sentiva un egiziano mancato».
Eppure, le sue radici più profonde le mise proprio in Brianza. «Qui lo conoscevano tutti», ricorda Belgir. «Si divertiva a parlare dialetto, con un accento tedesco irresistibile. Con il suo sorriso sapeva conquistare chiunque incontrasse».


