
Sono refrattario alla cronaca nera. Anche sfogliando i quotidiani sorvolo. Di qualunque reato si tratti. Furti, rapine, omicidi, violenze sessuali, traffico di armi e di esseri umani sono sempre esistiti e sempre esisteranno. I malviventi sono una piccola minoranza, per fortuna, ma sono ineliminabili. Si dividono in almeno due categorie. Una sceglie di violare la legge per professione. L’altra, io credo, per pazzia, o cattiveria, anche se fior di psicologi, psichiatri e sociologi si rifiutano di utilizzare queste definizioni.
Sarò semplicistico ma la penso così. Cerco di evitare gli uni e gli altri. Ma non sempre ci si riesce. Non è che il ladro o il violento lo riconosci incrociandolo per strada. Lo scopri quando si è manifestato, magari quando lo arrestano. È più facile riconoscere un cretino.
Per quanto si sia refrattari, talvolta la cronaca nera ti colpisce. Un episodio tra i tanti. La “maranza” milanese di corso Como. Cinque ragazzi – due maggiorenni – hanno pestato a sangue e preso a coltellate uno studente di passaggio. Un episodio, appunto, tra i tanti. Leggi i titoli e passi oltre.
Poi ti capita di essere testimone. E di scoprirti un po’ vigliacco. Milano. Serata tra amici. Un concerto. Il ristorante. Si fa tardi. A mezzanotte torni in albergo, a due passi dalla Stazione Centrale. Ero partito in treno da Roma Termini. Dove certamente non mancano i controlli. Polizia, Carabinieri, soldati, guardie giurate. Attenti. Seri. Guardano le persone. Chiedono i documenti. Danno sicurezza. A Milano la stessa cosa. Ti senti sicuro. In cuor tuo li ringrazi per il loro lavoro. Pesante. Rischioso.
Quella sera non c’erano agenti a portata di mano. Camminavo tranquillo in via Andrea Doria. Un assembramento di ragazzi. Alcuni urlavano. Cerco di capire. Guardo. E assisto a un pestaggio. Uno dei ragazzi prendeva violentemente a calci un altro, ormai a terra, che cercava invano di difendersi. Per un attimo ho pensato di intervenire, di dividerli. Gli “spettatori” facevano solo da spettatori, tifosi dell’uno e dell’altro. Un attimo dopo ho pensato a che cosa mi poteva succedere. Ho avuto paura. E ho tirato dritto.
Avrei potuto chiamare il 113, ma non l’ho fatto. Sono stato un vigliacco. Ho pensato a difendermi, non ad aiutare la vittima, che magari aveva cominciato lui. Non lo saprò mai. Ho cercato notizie sul web, senza trovarne. Probabilmente non ci sono state conseguenze gravi.
Di grave c’è che a Milano, città internazionale, ricca, bellissima, piena di stranieri, di piazze affollate, in un clima prenatalizio, accade quel che accade. Dare la colpa alle forze dell’ordine assenti sarebbe una idiozia. Ci sono, eccome. Le trovi a ogni angolo, almeno in centro. Ma non possono certo essere sempre testimoni in qualunque momento.

Si può fare di più? Non credo. I delinquenti ci saranno sempre. Pur consapevole di poter essere arrestato e condannato il delinquente non si fermerà. Neppure la pena di morte, dove ancora è praticata, funziona come deterrenza, trattenendo l’omicida dal compiere il delitto. Come si sa il buon marchese Cesare Beccaria era contrario alla pena di morte. Preferiva pene comminate rapidamente e di lunga durata.
Aveva ragione. Ma, col tempo, si è ritenuto incivile l’ergastolo, per non dire dei lavori forzati. Poi ci sono i paradossi. Se Tizio vuole uccidere Caio ma non di riesce, sarà condannato a una pena ridotta di un terzo o due terzi rispetto a quella prevista per l’omicidio volontario. E perché mai? Tizio voleva uccidere.
In ogni caso – come capita in America – può essere condannato a 200 anni di reclusione, ma non per questo un delinquente non delinque. È colpa dei genitori? Della povertà? Della società? Dei social? Non credo. La delinquenza non è “privilegio” degli emarginati. Non lo sono i violenti di viale Como, figli di normalissime famiglie borghesi.
Non ho risposte da dare. Però mi torna in mente l’ultimo articolo di Pier Paolo Pasolini pubblicato dal Corriere della Sera il 18 ottobre 1975. Pochi giorni dopo, il 2 novembre, sarà ucciso al Lidio di Ostia. S’intitolava “Aboliamo la tv e la scuola dell’obbligo”. Una riflessione sul massacro del Circeo di qualche settimana prima. I colpevoli erano figli della buona borghesia romana.
«I vari casi di criminalità – scriveva – che riempiono apocalitticamente la cronaca dei giornali e la nostra coscienza abbastanza atterrita, non sono casi: sono, evidentemente, casi estremi di un modo di essere criminale diffuso e profondo: di massa. Infatti i criminali non sono solo i neofascisti. Ultimamente un episodio (il massacro di una ragazza al Circeo) ha improvvisamente alleggerito tutte le coscienze e fatto tirare un grande respiro di sollievo: perché i colpevoli del massacro erano appunto dei pariolini fascisti. Dunque c’era da rallegrarsi per due ragioni: 1) per la conferma del fatto che sono solo e sempre fascisti la colpa di tutto; 2) per la conferma del fatto che la colpa è solo e sempre dei borghesi privilegiati e corrotti. La gioia di sentirsi confermati in questo antico sentimento populista – e nella solidità dell’annessa configurazione morale – non è esplosa solo nei giornali comunisti, ma in tutta la stampa (che dopo il 15 giugno ha una gran paura di essere a meno appunto dei comunisti). In realtà la stampa borghese è stata letteralmente felice di poter colpevolizzare i delinquenti dei Parioli, perché, colpevolizzandoli tanto drammaticamente, li privilegiava (solo i drammi borghesi hanno vero valore e interesse) e nel tempo stesso poteva crogiolarsi nella vecchia idea che dei delitti proletari e sottoproletari è inutile occuparsi più che tanto, dato che è aprioristicamente assodato che proletari e sottoproletari sono delinquenti».
«Io penso dunque – sosteneva Pasolini – che anche il massacro del Circeo abbia scatenato in Italia la solita offensiva ondata di stupidità giornalistica. Infatti, ripeto, i criminali non sono affatto solo i neofascisti, ma sono anche allo stesso modo e con la stessa coscienza, i proletari o i sottoproletari, che magari hanno votato comunista il 15 giugno. Si pensi al delitto dei fratelli Carlino di Torpignattara, o all’aggressione di Cinecittà (un ragazzo percosso brutalmente e chiuso dentro il baule della macchina e la ragazza violentata e seviziata da sette giovani della periferia romana). Questi delinquenti “popolari” – e per ora mi riferisco, con precisione documentata, ai soli fratelli Carlino – godevano della stessa identica libertà condizionale che i delinquenti dei Parioli; godevano cioè della stessa impunità. È assurdo dunque accusare i giudici che hanno mandato in giro “a piede libero” i neofascisti se non si accusano nello stesso tempo e con la stessa fermezza i giudici che hanno mandato in giro “a piede libero” i fratelli Carlino (e altre migliaia di giovani delinquenti delle borgate romane). La realtà è la seguente: i casi estremi di criminalità derivano da un ambiente criminaloide di massa. Occorrono migliaia di casi come quelli della festicciola sadica del Circeo o di aggressività brutale per ragioni di traffico, perché si realizzino casi come quelli dei sadici pariolini o dei sadici di Torpingnattara».
Non ho risposte migliori da dare. Quelle di Pasolini mi sembrano ancora capaci di farci riflettere.


