
Il confronto sul futuro dell’Ucraina è entrato nella fase più dura da anni, con un doppio ultimatum che arriva da Washington e da Mosca e che mette Volodymyr Zelensky davanti alla scelta più difficile dall’inizio della guerra. Donald Trump ha consegnato il suo piano di pace con una scadenza perentoria, lasciando intendere che senza un sì rapido la macchina degli aiuti americani potrebbe rallentare fino a fermarsi. Dall’altra parte, Vladimir Putin ha alzato il livello dello scontro politico: discutere quel piano o prepararsi a perdere tutto il Paese, una minaccia esplicita che risuona come un segnale di guerra totale. Le due voci, così diverse per storia e interessi, oggi sembrano convergere verso la stessa linea di pressione.
In questo clima di sospensione forzata, Kiev tenta di non restare schiacciata tra due potenze. Zelensky prende tempo, studia ogni passaggio, valuta le conseguenze interne ed europee. Ma il messaggio è arrivato chiaro: il margine di manovra si riduce. L’Europa osserva con inquietudine, consapevole che un accordo imposto rischia di trasformarsi in un precedente pericoloso, un cedimento strutturale davanti a una guerra di aggressione. L’impressione, tra diplomatici e analisti, è che la trattativa non sia più una trattativa: è una corsa contro il tempo.
La pressione di Trump
Il piano americano, composto da 28 punti, chiede all’Ucraina concessioni territoriali e militari difficilmente digeribili. Trump ha indicato una data per la risposta e ha fatto capire che un rifiuto potrebbe tradursi in un taglio drastico del sostegno. Per lui, la guerra deve finire subito, anche a costo di sacrificare equilibri geopolitici consolidati negli ultimi due anni e di ridisegnare la mappa dell’Europa orientale. È un ultimatum politico che si intreccia con la sua visione della leadership americana: niente conflitti lunghi, nessun assegno in bianco per Kiev, una pace rapida anche se dolorosa. Zelensky lo sa e lo ripete al suo entourage: la pace non può diventare una resa, ma nessuno a Kiev può ignorare il peso della Casa Bianca.
La minaccia di Putin
Se Trump usa la leva degli aiuti, Putin usa quella della forza. Ha detto chiaramente che il piano americano “può essere una base”, ma ha aggiunto che in caso di mancata intesa la Russia “porterà a termine la liberazione dell’intera Ucraina”. Una frase che, fuori dal linguaggio formale, significa una cosa sola: guerra totale. La minaccia arriva nel momento più delicato per il fronte ucraino, già sotto pressione al sud e all’est. Per il Cremlino, discutere il piano non è un gesto diplomatico, ma l’accettazione di una realtà militare imposta sul campo. Anche qui, il messaggio converge con quello di Trump: la partita è chiusa, sta a Kiev firmare o subire. Le due pressioni, pur nate da logiche opposte, finiscono così per schiacciare Zelensky nello stesso angolo.
La sensazione, oggi, è che l’Ucraina sia al centro di un tavolo dove i due leader più influenti del momento stanno scrivendo i contorni di un accordo senza concedere spazio alle sue richieste. L’Europa resta l’unico attore disposto a difendere un approccio negoziale non punitivo, ma la sua capacità di influenza è limitata. Zelensky deve decidere quanto rischiare: firmare un documento che molti suoi ministri definiscono “inumano” o rifiutarlo e affrontare un doppio ultimatum che potrebbe aprire la strada a un’escalation ancora più violenta. In questa scelta impossibile si gioca il futuro del Paese, ma anche l’equilibrio del continente.


