
Pochi giorni prima della morte, Ornella Vanoni aveva ancora quella lucidità disarmante con cui sapeva trasformare il quotidiano in racconto. La voce, però, tradiva qualcosa. Quel dolore alla coltello che lei stessa descriveva come un coltello, quel sentirsi strana, quel disagio che cercava di minimizzare. Al telefono con Maurizio Porro, amico storico e critico raffinato, la cantante aveva lasciato trapelare un’inquietudine nuova, mai sentita così chiaramente. Non era una confidenza drammatica, non era una richiesta d’aiuto: era il modo di Ornella di dire che non si sentiva bene, che c’era un fastidio persistente, che avrebbe fatto controllare tutto in una clinica di Pavia dove, diceva con sicurezza, “sono bravissimi”. Una frase che oggi suona come una premonizione silenziosa. Uno di quei momenti in cui una vita immensa entra all’improvviso in una dimensione fragile, quasi domestica.
Le parole che pesano oggi
Nella telefonata, Porro aveva colto qualcosa che allora sembrava soltanto un malessere passeggero. Vanoni gli raccontava di doversi fermare, di non potersi muovere troppo, di quel dolore alla vertebra che la costringeva a rimanere immobile. Cercava di alleggerire, come suo solito, ma ogni parola era più grave della precedente. “Mi metteranno a posto”, aveva detto, affidando la propria speranza a una struttura che conosceva e stimava. E poi quell’accenno ai suoi impegni televisivi: “No, domenica non vado da Fazio, ci vado a settimane alterne, andrò domenica prossima”. È in quelle frasi che oggi si legge un sottile presagio. Non l’idea della fine, ma il passo lieve di chi sente che qualcosa non torna e lo dice con la naturalezza di sempre, senza voler drammatizzare, senza trasformare il dolore in confessione tragica. Una donna che, come ha fatto per tutta la vita, cercava di restare padrona di sé anche nella vulnerabilità.
Il legame con Porro e l’eco di un addio
Porro ha raccontato quella telefonata con rispetto e affetto, come si fa con un ricordo che non si può più mettere al riparo. Il loro rapporto era fatto di scambi continui, di curiosità condivise, di uno sguardo sul mondo che, in modi diversi, li accomunava da decenni. Quella chiamata non sembrava diversa dalle altre, se non per quel dolore così fisico, così presente, così insolito per lei. Eppure, riascoltata nella memoria, diventa una piccola scena intima che precede un destino che nessuno poteva immaginare così vicino. Da quell’appartamento milanese in cui Ornella è stata trovata senza vita, resta ora un silenzio che pesa. Un silenzio che coincide con la fine di una voce che ha segnato generazioni, e che fino all’ultimo ha parlato con sincerità, senza mai indulgere nella retorica del “grande personaggio”.
La telefonata a Porro, oggi, è l’ultimo fotogramma di una donna che non ha mai smesso di essere vera. Una donna che ha trasformato ogni parola in un gesto artistico. E che, senza saperlo, ha consegnato proprio in quelle frasi il suo saluto più umano, più vulnerabile, più autentico.


