
Il recupero in mare della vettura, una Lancia Y, ha aggiunto un nuovo tassello alla tragedia che ha sconvolto il Salento: la storia di Najouia Minniti, 36 anni, e del piccolo Elia, 8 anni, ritrovati senza vita a poche ore di distanza. L’auto è stata individuata da un sub in un tratto di mare vicino alla piazzetta di Roca Vecchia, non lontano dalla scogliera della Torre dell’Orso, in un punto compatibile con l’ipotesi che la donna si sia lanciata in mare con il veicolo. I sommozzatori hanno documentato le fasi del recupero, riportando a galla un elemento ritenuto centrale per ricostruire gli ultimi istanti della 36enne.

Le prime ipotesi degli inquirenti
Il corpo della donna era stato avvistato il 18 novembre, galleggiante in acqua, ma la vettura era rimasta nascosta per giorni sul fondale. In quelle stesse ore, nella casa di Calimera, era stato trovato il corpo del piccolo Elia, disteso nel suo letto con segni compatibili con uno strangolamento. Un quadro che aveva immediatamente orientato gli investigatori verso la pista dell’omicidio-suicidio, ipotesi che ora attende conferme definitive.
L’incarico dell’autopsia è stato affidato al medico legale Alberto Tortorella, che dovrà stabilire con precisione cause e tempi delle due morti, chiarendo se la ricostruzione iniziale sia corretta. Gli esiti degli accertamenti sono ritenuti cruciali per dare una forma definitiva alla vicenda.
Il precedente allarme ignorato
Fondamentale nel racconto del padre del bambino è la denuncia presentata un anno fa, che oggi appare come un tragico presagio. Il legale dell’uomo, Mario Fazzini, ha ricordato come già allora la donna avesse espresso con chiarezza propositi drammatici: «Il 16 dicembre 2024 il mio assistito aveva denunciato le frasi con l’intento suicidario da parte della sua ex compagna». In quell’occasione, la 36enne aveva scritto parole che oggi assumono un significato devastante: «Saluta bene Elia perché lo porto con me, è già capitato che io sia andata di fronte al mare con la macchina. Ritieniti responsabile di qualsiasi cosa capiti a me e a Elia».
Alla luce di quelle segnalazioni, era scattato un primo intervento dei servizi sociali: il bambino era stato inizialmente affidato al padre, mentre alla madre era stato richiesto un percorso di sostegno psicologico e monitoraggio costante. Una relazione successiva, definita “parzialmente positiva”, aveva poi portato a un accordo per l’affidamento condiviso, ma con importanti limitazioni: la donna non poteva allontanarsi con il piccolo dal comune di residenza e avrebbe dovuto proseguire il percorso con i servizi sociali. «Ma questa cosa non è mai successa», ha sottolineato l’avvocato Fazzini.
Le indagini in corso
Le forze dell’ordine stanno ora analizzando ogni elemento utile, dalla dinamica del ritrovamento dell’auto ai tempi delle due morti, per chiarire se la tragedia potesse essere evitata. Nel frattempo, resta il dolore di una comunità travolta da una vicenda che lascia aperti interrogativi profondi sulla prevenzione, sull’ascolto dei segnali d’allarme e sulla tutela dei minori in situazioni familiari fragili.


