
Nel panorama politico italiano, ci sono vicende che sembrano spegnersi da sole, destinate a scivolare rapidamente fuori dal dibattito pubblico. Poi, improvvisamente, tornano a riemergere, portando con sé nuove dichiarazioni, frizioni istituzionali e un clima di nervosismo che attraversa i palazzi del potere. È ciò che sta accadendo in queste ore, mentre un caso che molti ritenevano chiuso torna a occupare il centro della scena, alimentando polemiche e interrogativi sulla neutralità delle figure istituzionali.
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Il confronto, già delicato, si è riacceso in modo evidente, mostrando quanto sia sottile la linea tra ruolo tecnico e percezione politica, soprattutto quando a essere coinvolti sono incarichi che richiedono equilibrio, riservatezza e assoluta imparzialità. In questo scenario, le parole non sono soltanto dichiarazioni: diventano strumenti che possono generare scosse nei rapporti tra organi dello Stato.
Le parole di La Russa e il caso Garofani
Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha scelto di intervenire nuovamente sul caso che riguarda Francesco Saverio Garofani, segretario del Consiglio Supremo di Difesa e consigliere del presidente della Repubblica. Lo ha fatto senza mezzi termini, affermando: «Credo che il segretario del Consiglio Supremo di Difesa – che si deve occupare della difesa nazionale – sia meglio che lasci quel ruolo». Una richiesta esplicita, che riapre un fronte di tensione istituzionale.
La vicenda era esplosa dopo la pubblicazione, da parte di un quotidiano, di estratti di conversazioni private in cui Garofani esprimeva giudizi politici poco lusinghieri nei confronti del governo guidato da Giorgia Meloni. La Russa ha precisato che tali opinioni non possono essere in alcun modo ricondotte al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dichiarando che «il presidente della Repubblica, che si è trovato tra capo e collo questa vicenda, non ha nessuna responsabilità, e sono certo non condividere le cose dette dal suo consigliere».

Le critiche sulla neutralità istituzionale
Il presidente del Senato ha poi ampliato la sua riflessione, affermando: «Che Meloni non c’entrasse niente era del tutto evidente. Si parla di un Consigliere che in ambiente di tifosi, a ruota libera, si è lasciato andare improvvidamente a tutta una serie di valutazioni su governo, su Meloni». Una condotta che, secondo La Russa, non sarebbe compatibile con un ruolo che richiede massima sobrietà e distacco dalle dinamiche politiche.
Proseguendo nel suo intervento, ha aggiunto: «Se lo dice un consigliere del presidente della Repubblica non si può addossare questo pensiero al presidente, ma una critica a questo consigliere è assolutamente legittima, soprattutto se gli è stata chiesta una smentita e lui ha detto “si trattava di chiacchiere di amici“».

L’attacco finale e la richiesta di un passo indietro
La Russa ha concluso con toni ancora più duri, sostenendo che Garofani sarebbe stato trattato diversamente se avesse avuto un orientamento politico opposto: «Fosse stato uno di destra oggi lo vedremo appeso ai lampioni di qualche città o cattolicamente crocifisso», affermazione forte che alimenta ulteriormente il dibattito pubblico.
Il presidente del Senato ha ribadito che quelle espresse da Garofani sarebbero state «opinioni personali, non degne di uno che fa il Consigliere del Presidente», rilanciando così la richiesta di dimissioni e riportando il caso al centro dell’attenzione politica nazionale.


