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Draghi torna in partita: il retroscena infuocato che riaccende il sogno del Quirinale

Pubblicato: 26/11/2025 15:54

L’ipotesi di Mario Draghi al Quirinale non è un capriccio nato sui giornali né un’operazione di marketing politico. È, semmai, la conseguenza naturale di un percorso istituzionale che ha già toccato tutte le altre cime: Banca d’ItaliaBCEPalazzo Chigi, fino al ruolo, oggi strategico, di architetto della competitività europea. E poi, parliamo della più alta carica dello Stato: un traguardo che, per un uomo abituato alla responsabilità e alla dimensione pubblica, non può essere considerato un tabù. Non lo è mai stato. 

draghi Quirinale

Mario Draghi e il sogno del Colle: perché si torna a parlarne

Nel mio libro lo affermo senza esitazioni: Draghi avrebbe potuto accogliere l’idea del Colle con naturalezza, quasi come l’ultimo servizio in ordine di tempo, non certo come un gesto di pura vanità. Ma una cosa è la disponibilità, un’altra è il percorso politico che porta fino a lì. Perché il Colle, più di ogni altra funzione istituzionale, dipende da una convergenza parlamentare che deve nascere quasi come una rara congiunzione astrale. Un desiderio, seppure legittimo, non basta. Il Colle non si conquista: si costruisce. E soprattutto, si fa costruire.

draghi

Le regionali non cambiano nulla (e proprio l’immobilità politica rilancia Draghi)

Ed è curioso che il post Mattarella torni in primo piano all’indomani delle elezioni regionali che non hanno spostato quasi nulla nell’assetto politico italiano. Veneto, Campania, Puglia: tre regioni, tre risultati già scritti, tre conferme dello stesso schema nazionale. E forse è proprio questa immobilità a rendere oggi l’ipotesi Draghi così forte: quando il sistema non si muove, l’unico che sembra in grado di rimetterlo in moto è qualcuno che non è immerso nel gioco quotidiano, ma continua a influenzarlo dall’alto. Dietro il “ritorno” di Draghi evocato in queste ore da alcuni quotidiani, in particolare da «Il Tempo», c’è un dibattito più ampio che attraversa partiti e aree centriste in cerca di definizione. Si parla di Ruffini, di Tabacci, persino di Luigi Di Maio come possibili snodi discreti di un’area moderata che potrebbe ritrovare peso proprio nella partita del Colle. Ma esiste davvero un centro politico in grado di orientare una decisione così delicata? O siamo davanti ad un mosaico di relazioni personali più che a un blocco parlamentare riconoscibile? E poi c’è la dimensione europea, che non può essere ignorata.

La destra lo vivrebbe come un successo o come un vincolo?

Draghi oggi continua ad essere la figura più ascoltata (e non solo nel vecchio continente): leader senza incarico formale, interlocutore privilegiato dei governi, l’uomo chiamato a ridefinire la competitività dell’Unione. In un’Europa che cerca di rispondere alla sfida dell’IA e della transizione energetica, che fronteggia un’America oscillante e una Cina sempre più dominante, un Presidente della Repubblica come Draghi sarebbe un segnale geopolitico potentissimo. Ma è proprio questo a generare ambivalenze: tutti lo vogliono davvero? Un Presidente così forte sarebbe un vantaggio per l’Italia o una figura troppo ingombrante per chi governa? E la destra lo vivrebbe come un successo o come un vincolo? Non è un dettaglio. Le elezioni del Capo dello Stato sono la radiografia perfetta dei rapporti di forza, delle alleanze, dei timori reciproci. E infine rimane la domanda che nessuno pronuncia, ma che attraversa tutti i ragionamenti: quella sul ruolo che Draghi desidera davvero interpretare nel futuro dell’Italia. Perché, come sappiamo, non cerca posti, semmai accetta responsabilità. Questa è sempre stata la sua cifra. 

draghi quirinale

Draghi resta una rara certezza

Il Parlamento attuale, frammentato e imprevedibile, riuscirebbe davvero a convergere su un profilo così autorevole? La storia del Quirinale insegna che i nomi più forti attirano consensi larghi, ma anche paure profonde. Soprattutto in un Paese dove la tentazione di scegliere un arbitro “morbido”, più che un garante, ritorna ciclicamente. Eppure, il fatto che il nome di Mario Draghi torni con questa insistenza non è un caso. L’ex numero uno della Bce resta una certezza rara: la figura che rassicura i mercati, che dialoga con Bruxelles, che parla alle istituzioni italiane senza bisogno di presentazioni. Ed è proprio qui che entra in gioco la realtà, molto più complessa della suggestione. E se servisse un segnale della sua credibilità internazionale, oggi KU Leuven ha ufficializzato un riconoscimento accademico che porta il suo nome nella hall of fame delle istituzioni europee: una laurea honoris causa conferita per “i suoi meriti come economista e statista”.

Il Colle non si conquista, si costruisce: le ipotesi in campo

Ma il Colle, lo dicevamo, non è una semplice vocazione: è una costruzione. E non basta essere rispettati in Europa, non è sufficiente aver salvato l’euro, non è un lasciapassare essere la figura più credibile della Repubblica italiana. Serve altro. Serve moltissimo altro. Perché il Quirinale non lo ottiene chi ha due o tre sponsor: ci arriva chi riesce a farsi “voler bene”, o almeno non ostacolare, da un Parlamento frantumato in decine di interessi divergenti. E proprio nei giorni scorsi ha preso a circolare un altro retroscena: la possibilità che il ministro Guido Crosetto possa essere il successore di Mattarella. Il solo fatto che circoli un nome così diverso da Draghi dimostra quanto il campo sia fluido, incerto, persino imprevedibile. D’altronde, il Colle, da sempre, è un mosaico che cambia forma ogni giorno fino all’ultimo scrutinio. 

draghi quirinale

Per diventare Presidente della Repubblica servono molti amici e ancor più “non nemici”

Ecco perché la partita non è semplice. Perché per diventare Presidente della Repubblica servono molti amici, e ancora più non-nemici. Occorre una costellazione di consensi che attraversi maggioranza e opposizione, che superi i rancori, che aggiri le diffidenze, che contenga perfino le ambizioni dei leader in carica. È un sottile equilibrio che va oltre la forza individuale. In altri termini è l’arte di tenere insieme ciò in genere divide i politici nostrani. Se Mario Draghi entrerà davvero nella partita o resterà una suggestione, lo scopriremo più avanti. Ma una cosa è già chiara: ogni volta che il Paese cerca un punto fermo, il suo nome è ancora lì. E questo, nel gioco del Quirinale, vale forse più di qualsiasi alleanza dichiarata.

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