
Ci si sveglia, si allunga la mano e prima ancora di mettere i piedi a terra si sblocca lo smartphone. A volte il letto è ancora caldo e già il pollice fa lo swipe sullo schermo: notifiche, social, chat. Un gesto automatico che si ripete decine di volte al giorno e che rischia di trasformarsi in una routine pericolosa, soprattutto per i più giovani, con effetti su attenzione, memoria e persino sull’umore.
In oltre otto anni di studi su adolescenti e millennial, il professor Larry Rosen della California State University ha osservato ragazzi che controllano o sbloccano il telefono tra le 50 e le 100 volte al giorno, in pratica ogni 10-20 minuti quando sono svegli. Il Washington Post ricorda poi un sondaggio YouGov: 8 americani su 10 di notte tengono il cellulare in camera, spesso a pochi centimetri dal cuscino. Il che significa che la mente non ha mai davvero una pausa digitale.

Quando il controllo diventa un campanello d’allarme: il numero limite
Proprio l’atto di “dare solo un’occhiata” allo smartphone, ripetuto senza sosta, è finito nel mirino dei ricercatori della Nottingham Trent University (Regno Unito) e della Keimyung University (Corea del Sud. Secondo i loro studi, superare una certa soglia può segnare l’inizio di un uso ad alto rischio: controllare il telefono circa 110 volte al giorno è già un indicatore di comportamento problematico. A differenza del tempo totale passato davanti allo schermo, è la frequenza degli sblocchi a correlare meglio con piccoli ma continui deficit cognitivi quotidiani.
Le interruzioni costanti hanno un prezzo: la Singapore Management University ha mostrato che interrompere di continuo ciò che stiamo facendo per sbirciare il telefono aumenta i vuoti di attenzione e di memoria. In media, durante una riunione di mezz’ora, una persona su quattro guarda il cellulare almeno una volta. E secondo la professoressa Gloria Mark della University of California at Irvine, dopo ogni interruzione possono servire fino a 25 minuti per ritrovare la piena concentrazione. Il multitasking digitale, insomma, è spesso un’illusione.

“Gli smartphone attivano lo stesso sistema di ‘ricompensa’ di droghe e alcol. I telefoni creano un circolo vizioso compulsivo, controlliamo” il cellulare “senza pensarci e sperimentiamo l’astinenza quando non controlliamo o non abbiamo accesso al nostro telefono”, spiega Anna Lembke, psichiatra e docente di medicina delle dipendenze alla Stanford University. A conferma, i dati dell’Università di Heidelberg: dopo sole 72 ore senza smartphone, l’attività cerebrale mostra pattern tipici dell’astinenza da sostanze, segno che il cervello vive lo “stacco” come una mini disintossicazione.
La buona notizia è che piccole mosse possono già fare la differenza: disattivare le notifiche non indispensabili, eliminare le app superflue, impostare momenti della giornata “phone free” e, ogni tanto, avere il coraggio di lasciare il telefono a casa. L’obiettivo non è demonizzare lo smartphone, ma interrompere l’automatismo: tornare a usarlo come strumento e non come protesi, restituendo al cervello il lusso raro di fare una cosa sola alla volta.


