
Il test del Dna ha fatto chiarezza: si limita a una ristretta cerchia familiare l’ orizzonte possibile indicato dal profilo genetico rinvenuto sotto le unghie di Chiara Poggi. Tra loro, uno solo ha messo piede nella villetta di via Pascoli: Andrea Sempio, amico del fratello della vittima. È questo il punto da cui riparte una delle vicende giudiziarie più controverse degli ultimi vent’anni.
Il dato non individua un «singolo individuo», come ha spiegato la perita Denise Albani, ma restringe il campo in modo quasi assoluto. E riporta al centro del dibattito proprio quel 37enne che nel 2007 era passato ai margini dell’indagine, poi archiviato e mai realmente sfiorato dal processo che ha portato alla condanna di Alberto Stasi a 16 anni.
Quel Dna un tempo ritenuto inutile, ora elemento chiave
La nuova prova non è la «pistola fumante», ma rischia di pesare enormemente: l’incidente probatorio — che avrà valore pieno in un eventuale processo — smentisce la tesi che per anni ha relegato quel Dna a un reperto inutilizzabile. Nel 2014, su richiesta della famiglia Poggi, il materiale genetico venne estratto e interamente consumato dal perito d’appello Francesco De Stefano, senza ottenere riscontri con il Dna di Stasi. Il mancato match portò i legali della famiglia, l’avvocato Gian Luigi Tizzoni e il genetista Marzio Capra, a definirlo un dato «non attendibile» e «non consolidato».
Ma per gli inquirenti il quadro è diverso. Secondo quanto emerge, il perito non avrebbe mai eseguito le due repliche identiche indicate in relazione: variando il quantitativo analizzato, i risultati non potevano che essere differenti. Un’anomalia che nel 2017 non venne mai riferita all’allora pm Mario Venditti, oggi indagato per corruzione insieme al padre di Sempio. Venditti continua a ribadire: «Il colpevole è uno ed è Stasi».

La nuova perizia Albani, invece, si basa su software di biostatistica riconosciuti come standard internazionali: uno con un database di 349.750 profili mondiali, l’altro con 39 mila europei. Da qui, l’elevata compatibilità con la linea paterna della famiglia Sempio.
Il nodo ora è il come: in che modo il Dna di Andrea Sempio sarebbe finito sulle mani di Chiara? La difesa sostiene che si tratti di un contatto indiretto: lui frequentava la casa, Chiara avrebbe potuto toccare un oggetto manipolato da lui in precedenza. Ma la procura ribatte: nessuna traccia del Dna dei familiari della vittima, né di quello di Stasi — che la sera prima era stato con Chiara — è stato trovato sullo stesso reperto. Per gli inquirenti, significa una cosa sola: «lui era sulla scena del crimine».
A supporto di questa ricostruzione, i carabinieri della Omicidi citano una serie di elementi: l’impronta 33 sul muro delle scale, le chiamate a casa Poggi attribuite a Sempio, la presunta «bufala» del ticket di Vigevano, gli esiti della Bpa (analisi delle tracce di sangue), fino alla consulenza medico-legale di Cristina Cattaneo.
I magistrati pavesi ritengono di aver ricostruito anche il movente. Parlano di «plurimi indizi» che verranno illustrati in primavera. L’orientamento è chiudere le indagini a inizio anno e chiedere il rinvio a giudizio di Sempio. A quel punto, le carte potrebbero arrivare alla procura generale di Milano per valutare anche la revisione della condanna di Stasi.
Il «biondino dagli occhi di ghiaccio» potrebbe così passare da colpevole a vittima di uno dei più clamorosi errori giudiziari della storia italiana.


