
L’Italia saluta una figura che ha lasciato un segno indelebile, non solo sulla pelle ma anche nel panorama culturale del paese. Si è spento a 80 anni Maurizio Fercioni, l’uomo che per primo ha elevato il tatuaggio da pratica marginale ad arte riconosciuta, unendo con maestria il mondo dell’inchiostro a quello del teatro. La sua scomparsa, dopo una lunga battaglia contro una malattia incurabile, lascia un vuoto profondo e un’eredità inestimabile a Milano e all’intera nazione.
Milano dice addio al suo primo tatuatore
Era la fine degli anni Sessanta quando un giovane e audace Maurizio Fercioni iniziò a tracciare i primi segni sulla pelle, in un’Italia dove i tatuaggi erano ancora avvolti da un forte stigma sociale e considerati un tabù. Nel 1967, in un contesto che oscillava tra l’esotico e l’emarginazione, Fercioni mosse i suoi primi passi, ponendo le basi per quella che sarebbe diventata una vera e propria rivoluzione artistica e culturale nel nostro paese.
Con il tempo, quell’artigiano “diverso” si affermò come un punto di riferimento incontrastato. La sua tenacia, il suo talento e la sua visione gli valsero il titolo non ufficiale di primo tatuatore d’Italia. Nel 1974, l’apertura del suo studio in via Mercato, nel cuore di Brera a Milano, fu molto più che l’inaugurazione di un locale: fu un atto di sfida, la nascita di una casa per l’arte del tatuaggio, un laboratorio di creatività e un simbolo di rottura con le convenzioni.

Dal disegno alla scena: l’influenza nel teatro
La poliedricità di Fercioni non si limitava alla pelle. Il suo sguardo artistico si estendeva al teatro, alle scenografie e ai costumi. Nel 1972, insieme a una generazione di artisti visionari, contribuì a fondare il Teatro Franco Parenti, un’istituzione destinata a ridefinire la scena culturale milanese con audacia e originalità, come riportato da Milano Today.
La sua profonda sensibilità visiva, affinata dagli studi al Liceo Artistico e all’Accademia di Brera, gli permise di portare nel mondo teatrale la stessa intensità e precisione con cui realizzava un tatuaggio. Le sue scenografie e i suoi costumi divennero così proiezioni della sua estetica unica, capace di oscillare tra provocazione e pura bellezza, lasciando un’impronta distintiva.

Lo studio che divenne un museo vivente
La sua storica bottega nel cuore di Brera non rimase un semplice studio di tatuaggi. Con il passare dei decenni, si trasformò in un vero e proprio museo, custode di un’intera storia del tatuaggio. Oggetti, disegni originali, attrezzi del mestiere e innumerevoli testimonianze raccontavano l’evoluzione di un’arte: da gesto marginale a forma d’arte profondamente rispettata e riconosciuta.
In una delle sue ultime interviste, Fercioni spiegava con grande lucidità il valore intrinseco del tatuaggio, non come mera decorazione effimera, ma come potente segno sociale, identitario e culturale. Diceva, secondo quanto riportato dal Corriere:
Il messaggio eterno del maestro
“Il tatuaggio ha sempre avuto una lettura sociale positiva nelle civiltà primitive; è solo dove sistemi autoritari e repressivi si sono appropriati direttamente di esso come strumento di punizione e umiliazione … che esso suscita angoscia, rigetto e repulsione … Questo spiega forse perché il tatuaggio provoca ancora oggi da noi fascino ma anche inquietudine”.
Questa affermazione risuona oggi con una forza ancora maggiore, testimoniando come la sua visione abbia contribuito a spostare il tatuaggio da un margine ribelle al centro dell’espressione personale, da uno stigma a una dichiarazione artistica riconosciuta.
L’eredità incisa nella storia culturale
La scomparsa di Maurizio Fercioni non è solo la perdita di un artista, ma la fine di un’epoca e la testimonianza di un percorso — personale e collettivo — che ha trasformato l’inchiostro in un linguaggio, la pelle in una tela e il corpo in un palcoscenico di espressione. Il suo nome rimane inciso, non come un semplice ricordo nostalgico, ma come un segno vivo di trasformazione, coraggio e innovazione.
Il primo tatuatore d’Italia ci ha lasciato all’età di 80 anni, e con lui se ne va una parte fondamentale della storia culturale italiana, ma la sua eredità continuerà a ispirare generazioni future, confermando il tatuaggio come forma d’arte a tutti gli effetti.


