
Un’intera giornata di programmazione stravolta: lo sciopero indetto dalla FNSI – la Federazione nazionale della stampa italiana – per il rinnovo del contratto giornalistico, fermo ormai dal 2016, ha paralizzato per 24 ore radio, tv e informazione online. La mobilitazione, iniziata alle 5:30 del 28 novembre e valida fino alle 5:30 di sabato 29, ha registrato un’ampia adesione tra i giornalisti Rai, costringendo l’azienda a ridisegnare quasi completamente il palinsesto.
Fin dalle prime ore del mattino non sono andati in onda diversi programmi storici: tra questi Agorà, il contenitore informativo di Rai3 che, salvo rari casi legati a scioperi tecnici, non mancava all’appuntamento da anni. Stop anche a Storie Italiane, uno dei programmi più seguiti della mattinata condotto da Eleonora Daniele. Nel pomeriggio salterà pure La Vita in Diretta, anche se in questo caso la scelta è legata a una riprogrammazione complessiva del palinsesto.
Come avvenuto in occasione di altre mobilitazioni, i Gr radiofonici e i telegiornali garantiranno solo edizioni ridotte: Radio 1, Radio 2 e Radio 3 avranno due notiziari da 6 minuti, mentre Tg1, Tg2, Tg3 e Rainews 24 proporranno edizioni inferiori ai 10 minuti. Le testate regionali produrranno un solo notiziario di 5 minuti, concentrato nelle fasce a maggior ascolto, verosimilmente alle 13 e alle 20.
La protesta mette al centro il tema delle retribuzioni, dell’inflazione e della crescente precarietà nel settore. Nel comunicato diffuso stamattina, la FNSI e il sindacato Usigrai denunciano «investimenti insufficienti» da parte degli editori aderenti a FIEG, nonostante le sovvenzioni pubbliche, e ricordano che i giornalisti hanno perso oltre il 20% del potere d’acquisto. Accuse forti anche rispetto allo sfruttamento di collaboratori e precari e ai tagli salariali previsti per i nuovi assunti, giudicati un rischio per la coesione generazionale nelle redazioni.
Per i sindacati, non si tratta di una battaglia «corporativa»: un’informazione libera e plurale, sostengono, richiede professionisti autorevoli, indipendenti e non esposti a ricatti economici, per difendere la qualità del lavoro e l’articolo 21 della Costituzione.


