
Il livello di protezione per Sigfrido Ranucci, storico conduttore di Report su Rai 3, è stato ufficialmente aumentato dal ministero dell’Interno a seguito dell’attentato di ottobre e delle dichiarazioni rese dal giornalista in Commissione Antimafia. La comunicazione dell’Ucis, l’Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale, è arrivata domenica 30 novembre e prevede un salto dal quarto al secondo livello di tutela, una misura riservata a personalità esposte a rischi concreti e immediati.
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A cambiare è l’intero assetto della scorta: non più una sola auto blindata e due agenti, ma due vetture blindate e quattro uomini, oltre a un presidio fisso dell’Esercito davanti all’abitazione del giornalista a Campo Ascolano, frazione di Pomezia. Una protezione che testimonia la gravità del quadro delineato nelle ultime settimane e il crescente allarme attorno alla figura del conduttore, già da anni sotto minaccia per il suo lavoro di inchiesta.
Le motivazioni del Viminale
La nuova misura di sicurezza tiene conto dell’indagine in corso sull’attentato del 17 ottobre, quando un ordigno ha distrutto l’auto di Ranucci parcheggiata sotto casa. La matrice dell’azione è ancora oggetto di accertamenti, ma la natura esplosiva dell’attacco ha sollevato da subito l’ipotesi di una intimidazione mirata. A pesare sulla decisione del Viminale sono però anche le dichiarazioni rilasciate dal giornalista il 4 novembre davanti alla Commissione Antimafia, parte delle quali è stata secretata.
Proprio sulla base di quella sezione riservata, la presidente della Commissione, Chiara Colosimo (Fratelli d’Italia), ha formalmente richiesto un incremento delle misure di protezione. Una valutazione condivisa anche dagli apparati di sicurezza, che hanno ritenuto necessario un dispositivo più robusto.

Le domande sulle attività dei servizi segreti
Tra i passaggi più delicati dell’audizione secretata figurano le risposte di Ranucci su alcune inchieste di Report, tra cui quelle sul caso Moro, sul caso Mattarella e sulle possibili presenze esterne nelle stragi del 1992-93. Ma a creare un vero terremoto politico è stata la domanda del senatore M5S Roberto Scarpinato, che ha chiesto chiarimenti su un presunto pedinamento da parte dei servizi segreti, che secondo recenti dichiarazioni del giornalista sarebbero stati “attivati dal sottosegretario Fazzolari”.
La domanda – che ipotizzava un possibile collegamento tra quel presunto pedinamento e l’attentato di ottobre – ha generato tensioni nella maggioranza e irritazione da parte dello stesso Fazzolari, che in un’intervista ha definito le accuse infondate, parlando di una presunta “totale impunità di Report”.
L’intervento del Copasir e la richiesta degli atti
Il giorno successivo, il 5 novembre, Ranucci ha partecipato a un’altra audizione, questa volta davanti alla Commissione di Vigilanza Rai, ribadendo parte delle dichiarazioni già fornite all’Antimafia. Nei giorni più recenti, il Copasir, il Comitato parlamentare che vigila sui servizi segreti, ha chiesto ufficialmente alla Commissione di Vigilanza gli atti relativi alla parte secretata dell’audizione.
La presidente del M5S, Barbara Floridia, ha quindi convocato l’Ufficio di presidenza per mercoledì mattina, con l’obiettivo di votare sulla trasmissione dei documenti richiesti. Parallelamente, il Copasir ha avviato un’interlocuzione anche con la Commissione Antimafia, segno di un quadro istituzionale teso e di un livello di attenzione ancora altissimo attorno alla vicenda.

Un clima sempre più pesante attorno al giornalismo d’inchiesta
L’aumento della scorta per Sigfrido Ranucci rappresenta un nuovo capitolo nella lunga storia delle pressioni e delle intimidazioni rivolte al giornalismo d’inchiesta in Italia. La presenza dell’esercito davanti alla sua abitazione e il rafforzamento del dispositivo di sicurezza testimoniano un rischio considerato concreto dagli apparati dello Stato.
In attesa di ulteriori sviluppi investigativi, la vicenda conferma la delicatezza del lavoro svolto da chi, come il conduttore di Report, continua a occuparsi di temi sensibili e spesso scomodi. E mentre magistratura, Copasir e Antimafia procedono in parallelo, resta aperto l’interrogativo centrale: chi aveva interesse a colpire un giornalista sotto tutela, e perché proprio ora?
La risposta, come spesso accade quando si muovono gli equilibri tra politica, media e sicurezza, potrebbe non essere immediata. Ma lo Stato, almeno per ora, ha scelto la via della massima protezione.


