
La piazza si è trasformata in un catino ribollente di rabbia e fumo. Le loro voci, amplificate da mesi di incertezza e promesse mancate, si sono schiantate contro un muro di metallo e uniformi. Erano lì per esigere risposte, per difendere non solo un posto di lavoro, ma la dignità di intere famiglie legate indissolubilmente al ritmo delle acciaierie e al frastuono dei laminatoi. Quando il corteo ha raggiunto il cuore pulsante del potere amministrativo, ha trovato la strada sbarrata in modo inequivocabile.
L’istinto, guidato dalla frustrazione, ha preso il sopravvento: i caschi da lavoro usati come percussioni ritmiche contro le griglie, un suono che annunciava lo scontro imminente. L’aria, già pesante per l’attesa, è stata lacerata dai sibili dei fumogeni e dalle esplosioni dei petardi, mescolando l’acre odore della polvere da sparo con l’amaro sapore della disillusione. Questo non era più un corteo, ma la manifestazione fisica di un conflitto sociale che covava sotto la cenere, pronto a esplodere in una nuvola densa e irritante di gas lacrimogeni.
La barricata e il blocco
L’aria si è fatta irrespirabile e carica di tensione davanti alla Prefettura di Genova, trasformando la centralissima piazza in un teatro di scontro tra la rabbia operaia e le forze dell’ordine. L’arrivo del corteo, composto da centinaia di lavoratori dello stabilimento ex Ilva di Cornigliano, ha segnato l’apice di una giornata di mobilitazione che chiedeva risposte concrete sul futuro occupazionale e produttivo del polo siderurgico. Quello che doveva essere un momento di pressione istituzionale si è rapidamente evoluto in un confronto fisico e rumoroso, riflettendo la profonda incertezza e la frustrazione che attanagliano gli operai. La manifestazione, partita con l’intento di portare la protesta nel cuore del potere decisionale, ha trovato un muro invalicabile che ha acceso la miccia della rabbia.
Il corteo, giunto a destinazione, si è trovato di fronte a una ferrea disposizione di sicurezza. La strada che conduce direttamente all’ingresso della Prefettura era stata completamente sbarrata da alcuni cordoni di alari della polizia in tenuta antisommossa, erigendo di fatto una barriera metallica e umana. Questa misura, percepita dai manifestanti come un tentativo di silenziare o marginalizzare le loro richieste, ha scatenato la reazione immediata e istintiva del gruppo. Gli operai, molti dei quali indossavano i loro caschi da lavoro come simbolo della loro identità professionale e della loro lotta, hanno immediatamente iniziato a battere con forza e in modo cadenzato contro le griglie metalliche. Il rumore metallico e assordante è diventato la colonna sonora della protesta, un tamburo di guerra che scandiva l’urgenza e la disperazione della loro condizione. Questo martellare incessante era un chiaro segnale di sfida e di rifiuto di indietreggiare di fronte al blocco imposto.
L’escalation della protesta
La situazione è rapidamente degenerata oltre il mero scontro verbale e sonoro. In un crescendo di tensione, i manifestanti hanno iniziato a lanciare oggetti in direzione delle forze dell’ordine schierate dietro la barricata. Si è trattato di un vero e proprio lancio di fumogeni colorati, che hanno immediatamente avvolto la piazza in una nebbia densa e acre, petardi, il cui forte scoppio amplificava la sensazione di caos e pericolo, e uova, simbolo di un disprezzo viscerale verso l’istituzione percepita come sorda alle loro ragioni. La visibilità si è ridotta, l’aria si è riempita di fumo e l’atmosfera è diventata elettrica e violenta. La protesta aveva ormai superato la soglia della manifestazione pacifica, trasformandosi in una guerriglia urbana circoscritta. L’uso di questi strumenti, sebbene non letali, evidenziava la disponibilità dei lavoratori a ricorrere a misure estreme per farsi ascoltare e per rompere il silenzio che sentivano gravare sul loro destino.
La risposta delle forze dell’ordine
Di fronte alla carica di tensione e al lancio di oggetti da parte dei manifestanti, la polizia ha reagito con una contromisura altrettanto decisa. Per disperdere la folla e ripristinare l’ordine, o almeno allontanare la linea del fronte dal palazzo istituzionale, le forze dell’ordine hanno iniziato un fitto e massiccio lancio di lacrimogeni. Le capsule fumogene, esplodendo, hanno rilasciato il loro agente irritante che provoca bruciore agli occhi, tosse e difficoltà respiratorie. Questo fumo, combinato con quello dei fumogeni lanciati dagli operai, ha creato una cappa irrespirabile sulla piazza, costringendo i manifestanti, e anche gli spettatori, a indietreggiare e coprirsi il volto. L’obiettivo era chiaramente quello di spezzare la compattezza del corteo e di frantumare l’impeto della loro carica. Il lancio era così intenso e continuativo da creare una zona cuscinetto tra le due fazioni, segnando il punto in cui la mediazione e il dialogo erano stati totalmente superati dallo scontro fisico.
La presenza dei mezzi da lavoro
Un elemento di forte impatto simbolico e pratico all’interno del corteo era la presenza di mezzi da lavoro pesanti. In piazza era stata condotta una pala meccanica e altri macchinari da cantiere. Questa non era una mera esibizione di forza, ma un potente messaggio visivo. I mezzi, che normalmente simboleggiano la produzione, l’attività e la creazione di ricchezza, erano lì in piazza a simboleggiare il rischio di fermo e la mancanza di lavoro che incombe sulla ex Ilva. La pala meccanica è diventata così un gigantesco simbolo di protesta, rappresentando la natura del loro mestiere e la concretezza delle loro rivendicazioni: non si tratta solo di stipendi, ma del diritto a lavorare e a utilizzare quegli stessi strumenti. La loro presenza sottolineava l’identità operaia dei manifestanti e la drammatica posta in gioco che andava oltre il singolo momento di protesta, toccando le fondamenta dell’economia locale e nazionale. Questa messa in scena ha aggiunto un ulteriore strato di gravità alla manifestazione, ricordando a tutti che la crisi del polo di Cornigliano è una crisi del lavoro nella sua accezione più fisica e produttiva.


