
Il comitato consultivo sui vaccini del CDC ha approvato una decisione destinata a far discutere: la revoca della storica raccomandazione che prevedeva la somministrazione della prima dose del vaccino contro l’epatite B entro le prime 24 ore di vita. Un cambio di rotta che segna il più grande scossone al programma vaccinale pediatrico degli Stati Uniti degli ultimi decenni.
La votazione, arrivata dopo un confronto teso e prolungato, ha visto prevalere la linea che propone un approccio più flessibile. Secondo la nuova indicazione, le madri risultate negative al test dell’epatite B potranno decidere insieme al medico se il neonato debba ricevere la prima dose alla nascita o se sia preferibile posticiparla.
Il panel ha infatti suggerito che, in assenza della somministrazione immediata, la prima inoculazione possa avvenire a partire dai due mesi di vita. Una decisione che modificherebbe profondamente lo schema a tre dosi praticato da decenni, basato sull’iniezione entro le 24 ore, la seconda dopo uno o due mesi e la terza tra i sei e i diciotto.

La scelta dell’ACIP arriva in un momento di forte riorganizzazione interna, con la presenza di nuovi membri spesso indicati come critici nei confronti delle politiche vaccinali tradizionali. Una composizione che ha inevitabilmente influito sul clima del dibattito, già acceso e complesso.
Durante la discussione, molti esperti hanno espresso preoccupazione per la rimozione di una misura considerata fondamentale per la prevenzione. Il vaccino neonatale contro l’epatite B è infatti ampiamente riconosciuto come uno strumento di protezione efficace, soprattutto nei casi in cui lo screening materno non sia completo o puntuale.
I sostenitori del mantenimento della dose alla nascita hanno sottolineato il rischio che il rinvio possa creare un “vuoto di protezione”, esponendo i piccoli a infezioni impreviste e potenzialmente molto gravi. La prima dose immediata, ricordano i medici, ha contribuito a ridurre in modo drastico le infezioni neonatali negli Stati Uniti.
Dall’altro lato, i membri favorevoli al cambiamento parlano di un ritorno al principio di scelta individuale e di una maggiore attenzione alla personalizzazione delle cure. Secondo loro, la somministrazione alla nascita non sarebbe necessaria nei casi in cui il rischio di trasmissione è considerato minimo.
La decisione ha però diviso profondamente la comunità scientifica, con molte associazioni mediche che l’hanno definita una scelta “azzardata”, soprattutto alla luce dell’assenza di nuovi dati che indichino la necessità o la sicurezza di un ritardo nella vaccinazione.
La raccomandazione ora passa nelle mani della direzione del CDC, che dovrà confermarla o respingerla. In attesa del verdetto finale, il dibattito resta aperto e destinato a proseguire, perché ciò che è in gioco non è solo una dose di vaccino, ma l’intero equilibrio del programma di vaccinazioni pediatriche negli Stati Uniti.


