
In Ucraina il confronto politico sulla possibile cessione del Donbass continua a rappresentare uno dei nodi più complessi della trattativa con la Russia. Le pressioni internazionali e le richieste di Vladimir Putin non bastano infatti a modificare un quadro dominato da vincoli legislativi severi e da una popolazione che rifiuta qualsiasi concessione sulle terre invase. In questo scenario il presidente Volodymyr Zelensky si trova di fronte a una scelta che non è semplicemente politica, ma carica di conseguenze giudiziarie e sociali tali da rendere l’ipotesi impraticabile.
La cessione, anche solo parziale, dei territori occupati rappresenterebbe infatti una delle linee rosse fissate in modo chiaro dalla legislazione ucraina. Apporre la firma su un accordo che riconosca alla Federazione russa il controllo del Donbass lo esporrebbe immediatamente all’accusa di alto tradimento, un rischio che spiega l’estrema difficoltà nel portare avanti una trattativa capace di chiudere un conflitto che va avanti da quattro anni e ha provocato migliaia di vittime.
I limiti imposti dalle leggi ucraine

Secondo l’articolo 111 del Codice penale ucraino, chiunque comprometta la sovranità o l’integrità territoriale del Paese, in modo particolare durante una guerra, può essere condannato a pene comprese fra dodici e quindici anni di carcere. Una norma che riguarda ogni cittadino e dunque anche il presidente, rendendo illegittimo qualsiasi riconoscimento formale del Donbass a favore di Mosca.
Il quadro politico rende inoltre complessa qualsiasi modifica a Codice penale e Costituzione. Il Parlamento continua a essere privo di una maggioranza stabile e il partito presidenziale, Servitore del Popolo, è indebolito dagli scandali degli ultimi mesi. Zelensky è consapevole che il suo esercito non riuscirà a riconquistare i territori con la sola forza militare, ma sa anche che una rinuncia formale comporterebbe un impatto devastante sul piano politico e giudiziario.
La reazione del popolo e la minaccia delle piazze
Un recente sondaggio pubblicato dall’istituto Info Sapiens conferma quanto il tema sia incandescente. Il 51,4% degli ucraini è pronto a scendere in piazza nel caso in cui dalle trattative emergesse un “compromesso al ribasso”, considerato troppo penalizzante per il Paese. Inoltre, il 76,6% degli intervistati si dichiara nettamente contrario a un riconoscimento legale dei territori occupati a favore di Mosca.
Resta poi il nodo del possibile atteggiamento degli apparati militari e dei servizi di intelligence. Una resa nel Donbass, dove si combattono alcune delle battaglie più sanguinose, rischierebbe di spaccare l’equilibrio interno e generare tensioni difficilmente controllabili.
Il rimpianto per l’arsenale nucleare ceduto a Mosca
Il dibattito odierno richiama alla memoria il memorandum di Budapest del 1994, quando l’Ucraina indipendente decise di consegnare alla Russia le circa 1.900 testate nucleari e i 176 missili intercontinentali ereditati dall’URSS in cambio di garanzie sulla sicurezza e sui confini.
Garanzie che si sono rivelate fragili: già violate nel 2014 con l’annessione della Crimea, e poi con la successiva invasione del Paese. È un rimpianto che ritorna spesso tra i cittadini, convinti che mantenere quell’arsenale avrebbe potuto evitare il conflitto attuale.
Il timore di ripetere errori passati è una delle ragioni che spingono il popolo ucraino a vedere nella cessione del Donbass non un compromesso possibile, ma una resa inaccettabile destinata a mettere nuovamente a rischio la sicurezza nazionale.


