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Eserciti, armi e rifugi: l’Europa che si prepara alla guerra contro la Russia

Pubblicato: 08/12/2025 08:22

L’Europa vive una stagione che assomiglia a un cambio d’epoca, un passaggio brusco da decenni di pace percepita a un clima di allerta che coinvolge governi, società civili e industrie della difesa. In molte capitali si è capito che la minaccia non arriva soltanto dai confini ma dall’insieme delle operazioni ibride condotte da Mosca, tra droni, spionaggio, cyberattacchi e campagne di influenza che non fanno rumore ma spostano equilibri. Così il continente ha iniziato a rivedere la strategia di sicurezza come un unico sistema: militare, civile, industriale, digitale. E mentre nel dibattito pubblico sembra impossibile nominare apertamente l’ipotesi di un attacco, in diversi Paesi si pianifica, si costruisce e si addestra come se la guerra fosse una possibilità concreta, non imminente ma nemmeno remota.

La differenza rispetto al passato è la dimensione di massa della nuova difesa civile, perché la resilienza diventa una funzione della società e non più un compito di pochi reparti specializzati. Nei Paesi baltici si distribuiscono manuali alla popolazione, si identificano i rifugi per ogni quartiere, si aggiornano i piani di evacuazione; nei Paesi nordici si trasformano piscine e palestre in rifugi sotterranei pronti all’uso; in Germania si ricostruisce da zero una capacità industriale che negli ultimi decenni si era quasi dissolta; in Francia si prepara un nuovo servizio militare volontario per colmare il divario tra difesa e cittadinanza. È un movimento che procede in silenzio ma con accelerazioni evidenti, perché la domanda che attraversa l’intero continente è la stessa: come si difende una società moderna da una potenza che considera la guerra uno strumento naturale di politica estera?

Il Nord Europa e la difesa totale

Nei Paesi baltici la preparazione è già diventata politica pubblica strutturale. La Lituania ha rilanciato una campagna nazionale per istruire la popolazione sulle procedure di emergenza, dalle scorte alle evacuazioni, fino all’individuazione dei rifugi vicini alla propria abitazione. La Lettonia ha reintrodotto la leva obbligatoria per gli uomini tra 18 e 27 anni e inserito nelle scuole il corso di difesa nazionale, mentre l’Estonia fornisce manuali multilingue e aggiorna regolarmente i piani di evacuazione nelle zone più esposte. In Finlandia il Parlamento sta preparando i deputati all’uso del bunker sotto l’edificio istituzionale e il governo ha pubblicato nuove linee guida sulle evacuazioni in caso di guerra, consapevole che la protezione civile è diventata parte essenziale del sistema difensivo. La Svezia, forte di 64 mila rifugi, li sta ristrutturando e dotando di sistemi moderni contro minacce chimiche e radiologiche, riportando al centro un’infrastruttura nata negli anni della Guerra fredda e oggi tornata attuale.

La nuova corsa agli armamenti occidentali

Nel resto del continente il riarmo procede con velocità diverse ma con una direzione comune. Il Regno Unito ha ampliato il budget della difesa, aumentando il numero di soldati e avviando programmi per nuove testate nucleari, mentre la Germania ha aperto la più grande stagione di investimento militare dal dopoguerra con 100 miliardi immediati, altri 500 miliardi previsti e un massiccio riassetto industriale che trasforma stabilimenti civili in centri per la produzione di carri armati, munizioni e satelliti. La Francia, invece, punta su un modello misto: rafforza la resilienza civile, introduce un servizio militare volontario e promette di portare la spesa per la difesa fino al 3,5% del Pil entro il 2035. In tutti i casi emerge la stessa convinzione: solo un continente armato, integrato e pronto può evitare di essere percepito come vulnerabile.

Il nodo italiano tra prudenza politica e necessità strategica

L’Italia si muove con più cautela. Il Paese sta definendo un nuovo Piano di difesa nazionale coordinato con Protezione civile e autorità locali, un documento riservato che riorganizza la risposta a crisi ibride o convenzionali. Il punto critico, però, resta la distanza con l’opinione pubblica: mentre nel Nord Europa si distribuiscono manuali su cosa fare in caso di bombardamento o blackout, in Italia questa scelta potrebbe generare shock politico. L’esempio più simbolico è il Monte Soratte, il grande bunker pensato per proteggere le istituzioni e oggi diventato luogo turistico, inadatto a ospitare il Presidente della Repubblica in caso di attacco. È una metafora del ritardo italiano: infrastrutture pensate per la guerra trasformate in scenari da visita, mentre le minacce cambiano ma il sistema di protezione non viene aggiornato con la stessa rapidità.

Verso un’Europa della difesa totale

La traiettoria è chiara: l’Europa non attende più che la crisi si materializzi ai confini. Sta costruendo un modello di difesa totale in cui eserciti, rifugi, protezione civile, piani di evacuazione, industria bellica e preparazione dei cittadini formano un unico ecosistema. In questa visione la guerra non è più solo un tema militare ma una questione di ordine civile, industriale e sociale. E la preparazione non è allarmismo: è il modo in cui il continente cerca di non farsi trovare impreparato da una Russia che non nasconde la volontà di ridefinire gli equilibri europei.

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