
Una rivelazione scuote il caso Garlasco e riaccende i riflettori sulla controversa condanna di Alberto Stasi. Durante l’ultima puntata di Quarta Repubblica, Giampietro Lago, ex comandante del Ris di Parma per quindici anni, ha lanciato un’accusa pesantissima sull’operato del genetista Francesco De Stefano, perito del Tribunale nel processo d’Appello bis che portò alla condanna definitiva di Stasi per l’omicidio di Chiara Poggi.
Lago ha confermato in pieno le critiche emerse nella relazione di Denise Albani, la consulente che ha evidenziato una compatibilità con la linea paterna di Andrea Sempio. Secondo l’ex comandante, le incertezze attuali derivano da una metodologia che lui stesso aveva contestato all’epoca dei fatti.
Le ombre sulla perizia del dna
Per smontare le dichiarazioni di De Stefano, Lago ha rivelato di aver comunicato formalmente il proprio dissenso, inviando una mail in cui proponeva l’adozione di una tecnologia all’avanguardia, già operativa in due laboratori italiani, incluso quello del Ris di Parma. Una divergenza tecnica che, in apparenza, rientrava nelle normali scelte di un consulente forense.
La situazione si aggrava quando la giornalista Ludovica Bulian ricorda a Lago che De Stefano affermò di “non poter escludere che il Dna sia di Stasi”. La replica di Lago è tagliente: “A mio avviso quella è una espressione inappropriata, perché se tu dici che quei risultati non sono sufficienti per essere utilizzati a fini identificativi, non puoi includere e non puoi escludere, non puoi fare niente. Cioè, quei risultati non esistono.” Bulian ha poi osservato: “Quindi, sono quasi un’opinione”.
La bordata che riapre il caso
È a questo punto che Lago sferra la sua bordata, destinata a riaprire un caso che molti consideravano chiuso: “Cioè, attenzione, è un perito che scrive la cosa nelle conclusioni della perizia. Quindi, insomma, non è un opinionista. Questa frase genera equivoci. ‘Non posso escludere Stasi’, sembra scritta per accondiscendere qualcuno”. “Getta un sospetto” suggerisce la Bulian. E Lago non arretra: “Si, un po’ sì”.
In studio, il giornalista Massimo Lugli ha definito infondata l’attuale indagine, sostenendo che anche se si fosse scoperto subito che sulle unghie della vittima c’era il Dna di un uomo diverso dal fidanzato, Stasi non avrebbe comunque evitato la condanna. Tuttavia, il ruolo delle conclusioni firmate da De Stefano, diffuse in un clima mediatico fortemente colpevolista, resta un elemento cruciale: quelle parole hanno contribuito in modo decisivo a mandare in carcere un uomo assolto due volte.
Un sospetto che non si può ignorare
Se allora fosse stata esclusa con certezza la presenza del dna di Stasi sulle unghie di Chiara Poggi – come avviene oggi – e considerando che la coppia trascorse molte ore insieme la sera precedente, resta da chiedersi se la Cassazione, ammesso che l’Appello bis lo avesse condannato, avrebbe davvero confermato la pena nonostante due precedenti assoluzioni e il parere contrario del procuratore generale Oscar Cedrangolo.
Alla luce di tutto ciò, e interpretando un sentimento che sta crescendo tra molti cittadini, sempre più dubbiosi di fronte a sentenze presentate come intoccabili, le parole dell’ex comandante del Ris di Parma non fanno che rafforzare un sospetto ormai difficile da ignorare: Alberto Stasi potrebbe essere stato letteralmente incastrato.


