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La pace di Trump? È già finita! Morti ed evacuazioni. Caos totale

Pubblicato: 10/12/2025 07:37

La fragile tregua tra Cambogia e Thailandia, faticosamente raggiunta sotto gli auspici della Casa Bianca di Donald Trump, si è frantumata di fronte a una nuova ondata di violenti combattimenti. Gli scontri, lungo gli oltre 800 chilometri di confine conteso, eredità diretta della storia coloniale, si sono estesi a nuove zone provocando un esodo di massa e segnando la peggior escalation degli ultimi mesi.

Gli episodi di violenza registrati questa settimana sono i più gravi dai cinque giorni di battaglia dello scorso luglio, quando decine di persone persero la vita prima dell’armistizio. Ora almeno dieci persone, tra soldati e civili, risultano uccise nelle ultime ore di conflitto.

Le ripercussioni umanitarie sono già allarmanti. Le autorità di Phnom Penh segnalano oltre 21mila sfollati in tre province di confine cambogiane, mentre Bangkok riferisce di più di 400mila civili costretti a lasciare le proprie case e a rifugiarsi in campi di fortuna.

La crisi esplosa lungo la frontiera riporta al centro dell’attenzione le accuse reciproche tra i due Paesi e il ruolo degli attori internazionali. La tregua promossa da Trump, con il supporto diplomatico di Cina e Malesia, allora presidente dell’ASEAN, era stata salutata come un raro successo, tanto che l’ex premier cambogiano Hun Sen aveva persino proposto il presidente americano per il Premio Nobel per la Pace.

Lo stesso Trump aveva celebrato l’accordo come uno degli otto conflitti “risolti” nei suoi primi mesi dal ritorno alla Casa Bianca. Il patto firmato a Kuala Lumpur prevedeva una riduzione delle truppe, il dispiegamento di osservatori lungo il confine e un’accelerazione delle operazioni di sminamento nelle aree più pericolose.

Già lo scorso mese, tuttavia, il clima era mutato. La Thailandia aveva sospeso l’attuazione dell’intesa accusando la Cambogia di aver piazzato nuove mine nelle zone contese. Le ostilità riaccese questa settimana hanno travolto cinque province tra i due Paesi, con ciascuna parte pronta a incolpare l’altra per la ripresa degli attacchi. Hun Sen ha ribadito che Phnom Penh avrebbe semplicemente risposto a una provocazione thailandese.

Il bilancio umano continua a crescere. L’esercito thailandese ha denunciato la morte di tre militari e il ferimento di altri ventinove, mentre il ministero della Difesa cambogiano parla di sette civili uccisi e una ventina feriti. Phnom Penh accusa inoltre le forze thailandesi di aver bombardato una strada nazionale, causando due vittime, e di aver colpito nei pressi del tempio di Preah Vihear, sito UNESCO al centro della disputa territoriale.

La comunità internazionale osserva con crescente preoccupazione. Il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres ha chiesto alle due parti di “evitare un’ulteriore escalation” e di ripristinare il cessate il fuoco, richiami a cui si è aggiunta la voce del segretario di Stato americano Marco Rubio, che ha chiesto l’immediata cessazione delle ostilità.

Sul terreno, però, le posizioni restano inflessibili. Il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul ha ribadito la determinazione del suo esercito nel difendere la sovranità nazionale, mentre il portavoce della marina thailandese ha accusato la Cambogia di aver utilizzato droni in una zona costiera contesa nella provincia di Trat, annunciando l’avvio di un’operazione militare per “scacciarli”.

La tregua, celebrata poche settimane fa come un trionfo diplomatico, appare oggi irrimediabilmente compromessa, mentre il rischio di un conflitto aperto tra Cambogia e Thailandia torna a essere una minaccia concreta per l’intera regione.

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